
CITTADINANZA E CULTURA. RISONANZE.

UNA STORIA CHE HA PER PROTAGONISTA “IL CATTIVO RENDIMENTO SCOLASTICO”
POLITICA: UNA QUESTIONE DI CULTURA

Quando si legge un libro e di continuo si annuisce con naturalezza, con quella sensazione che i pensieri scritti siano evidenti, persino un poco ovvii, allora si sta leggendo un capolavoro. Perché c’è un ovvio che non è affatto nemico del vero; un ovvio che, poco prima che qualcuno con intelligenza e coraggio ne facesse un pensiero compiuto e, soprattutto, lo fissasse per iscritto per l’eternità, ovvio non lo era affatto, benché lì, alla portata di ogni cuore e di ogni mente.
Dei delitti e delle pene del marchese Cesare Beccaria è uno di questi capolavori, un libretto agile, sobrio che, a scorrerlo anche rapidamente con gli occhi, il lettore si sente a casa, custodito e sollevato nel constatare che qualcuno abbia dato forma ai suoi stessi pensieri, a pensieri che non possono che essere così e che non possono che appartenere a ogni essere umano di buona volontà. Se non che, gli uomini di volontà, che pure esistono in massimo numero, considerato il fatto che il mondo — nonostante tutto — va avanti, non sempre coincidono con gli uomini di potere, all’alba del 2025 come a metà del Settecento. E così la lettura, l’ennesima rilettura personale di questo cammeo di proporzioni colossali, diventa spazio di ristoro e speranza e rende perentorio l’obbligo di farne partecipi i ragazzi, nessuno dei quali — nemmeno i ragazzi di terza, che una pur elementare dimestichezza con il termine Illuminismo ce l’hanno -, ne ha mai avuto notizia… ahimè…
Illuminismo è quel tempo della Storia, teorizzato in Inghilterra e divenuto grande in Francia, in cui la luce, la lumière, si erge a paladina della dignità dell’uomo contro il buio dell’ignoranza, della superstizione, del cieco asservimento alla tradizione e alle abitudini inveterate.
La luce dell’Illuminismo si propaga alla velocità della luce anche in Italia dove, incontrando il fervore e la vivacità della Milano teresiana, si declina in quella preziosa forma di Illuminismo lombardo, unico e irripetibile. Le idee inglesi e francesi dialogano con i modelli di riforme dell’Europa centrale, soprattutto viennesi e la felice contaminazione connota in modo inconfondibile la riflessione e l’opera dei grandi salotti illuministi milanesi. Uno di essi è ospitato nella prestigiosa via Montenapoleone – allora Contrada del Monte –, nel palazzo di Alessandro Verri che, insieme al fratello Pietro e ad altri illustri amici, nel 1761 dà avvio all’Accademia dei Pugni e al celebre giornale Il Caffè che delle sue riflessioni e dei suoi affondi culturali è rinvigorente espressione. Ci piace molto paragonare insieme ai ragazzi quella antica realtà milanese a questa nostra picciola Accademia, milanese anch’essa, e le pagine de Il Caffè ai nostri due libri — Futuro e Energia — che ne sono voce altrettanto corroborante.
L’Accademia dei Pugni è una fucina di idee buone e giuste. “Oggi quelle circostanze sono da richiamare, per ricordare la coincidenza di interesse e l’operosa collaborazione che caratterizzano la breve vita dell’Accademia dei Pugni e del Caffè, il momento – raro nella nostra storia – in cui nelle coscienze di alcuni uomini di cultura avviene il riconoscimento della possibilità di cambiare la realtà meschina del paese e quindi del dovere di dedicarvisi”.
Leggere ai ragazzi questo breve periodo tratto dalla introduzione al saggio ci emoziona perché sono parole alle quali crediamo profondamente, un pensiero sul quale anche noi, nel nostro piccolo, piccolissimo, abbiamo costruito il nostro progetto di cura per i giovani e per il mondo. Siamo certi che la salvezza del mondo passi dalla cultura e che la cultura non debba, come invece troppo spesso ha fatto e continua a fare, trincerarsi nei suoi alti luoghi, ma mettersi al servizio degli altri, del mondo intero. In Beccaria e nei suoi compagni di pensiero era forte l’avversione al dominio della tradizione e del passato in ogni campo, ma la loro forza fu la consapevolezza che, sul piano operativo, esistevano delle limitazioni insuperabili, contro le quali sarebbe stato inutile e ingenuo scontrarsi; non è il tempo della rivoluzione, non mirano questi uomini a rovesciare il governo, minando il potere pubblico; è il tempo delle riforme, è il tempo di proporre concrete e profonde riforme economiche, istituzionali, giuridiche: è la politica la via del progresso, l’impegno e la vocazione più nobile dell’uomo di cultura! (Tremano le vene e i polsi a pensare allo scenario politico mondiale, agli scranni dei parlamenti, dove di cultura non se ne vede l’ombra, neanche dove di cultura ci si occupa… ci sono stati tempi diversi, anche nel nostro Paese)
Gli Illuministi lombardi padroneggiavano la cultura italiana allo stesso modo di quella inglese e francese, le lingue, l’economia, le scienze e la matematica (il soprannome di Beccaria era “il newtoncino”) e questa vastità di sapere, lungi dal farne laudatores temporis acti, dei lodatori del tempo passato, li proiettava invece nel futuro, nella ricerca di novità, nella volontà di riforma. Perché anche questo, oggi, è un equivoco odioso: la cultura, quella umanistica in particolare modo, sa immediatamente di stantio, di obsoleto, di isterico attaccamento al passato: viva la tecnologia, l’unica strada da seguire per un futuro migliore! E invece non è così, non è mai stato così e questi nostri Illuministi lo hanno compreso e gridato forte: conoscere, navigare con naturalezza nel mare della cultura passata, nella cultura del proprio paese e degli altri paesi significa disporre di infinita materia buona da lavorare, da elaborare con mani e menti nuove, da arricchire con metodi innovativi e originali, da plasmare alla luce del presente; una infinita materia cui attingere e da cui trarre spunti per indagini personali e inedite.
Prima di immergerci nell’opera, nella sua genesi e nella sua fortuna, poche parole sulla vita di Beccaria, anch’essa densa di richiami e spunti interessanti per i ragazzi.
Cesare Beccaria nacque in una nobile e agiata famiglia milanese; studiò nel collegio dei Gesuiti a Parma e si laureò in legge alla prestigiosa Università di Pavia: era il 1758 e Beccaria aveva vent’anni. Visse la famiglia e l’educazione come realtà oppressive, tanto che allo “spirito di famiglia” dedicò uno sferzante capitolo della sua opera. Giovane di profonda cultura, attento alla realtà sebbene di carattere poco incline alle relazioni, tornato da Pavia, si abbandonò per qualche anno alla vita del giovin signore, dipendendo economicamente dal padre e distraendosi con le attività mondane, già numerose nella Milano del tempo.
Nel 1760 avvenne una svolta e, artefici di questa svolta, furono l’amore e l’amicizia! L’amore per Teresa Blasco, donna di condizione sociale assai inferiore alla sua e l’amicizia di Pietro Verri, di dieci anni più grande di lui, il più illustre rappresentante dell’Illuminismo lombardo. Come avvenne al nostro amico Martin Eden, benché Beccaria fosse già molto colto, amore e amicizia furono per lui la via per scoprire la sua verità e le sue capacità più profonde e furono la spinta propulsiva che lo portò a opporsi alle buie tradizioni di famiglia, a rinunciare al maggiorascato e a sposare Teresa contro la volontà del padre (dall’unione dei due, nascerà Giulia, la preziosa mamma del prezioso Alessandro Manzoni, di cui Beccaria, dunque, fu illustre nonno!). Un Beccaria liberato e nuovo si spalancò alla filosofia che divenne sua passione profonda ed entrò nel circolo degli amici con cui passò ora intense di scambio, di pensiero, di ricerca e di elaborazione. L’amore di Teresa e l’amicizia degli altri accademici lo aiutarono a combattere la scarsa fiducia in se stesso, i timori di valere poco, ad aprirsi al mondo in maniera costruttiva e intelligente: furono anni – pochi invero, perché la vita del filosofo volse poi nuovamente al buio – di grande entusiasmo, di energia pura, in cui la collaborazione e la vicinanza autentica fra uomini colti e coraggiosi regalò all’umanità quella perla che non ha mai smesso di brillare in Italia e nel mondo: Dei delitti e delle pene.
Chissà che nella nostra Accademia non si nasconda qualche piccola o qualche piccolo Beccaria?