
CONTRO LA PIRAMIDE: LAVORO E CULTURA

IL BARDO E LE SUE RI-SCRITTURE
QUELLA TRISTE SENSAZIONE DI DARE QUASI FASTIDIO…

Non stupisce un granché, ma ugualmente avvilisce e sconcerta la recente decisione del governo di non rifinanziare il Fondo per il contrasto alla povertà educativa, istituito nel 2016. Ad alimentare il fondo erano versamenti di Fondazioni di origine bancaria e, a muoverlo, era l’obiettivo di sostenere “interventi sperimentali finalizzati e rimuovere ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori”.
Accanto a questa decisione, quelle non meno miopi e pure un po’ poco oneste di mantenere il tetto al 5xmille e di tagliare le detrazioni per le donazioni: una mannaia su questo povero Terzo Settore che pure tanto bene fa al bel paese. I dettagli della vicenda sono facilmente reperibili sui quotidiani dei giorni passati: una disamina seria e onesta è quella della filosofa e sociologa Chiara Saraceno.
Lungi da me immergermi nella palude putrescente del dibattito politico; lungi da me sedermi a criticare: ma qualcosa in merito, la Piccioletta barca deve pur dirlo, la sua piccola voce deve alzarsi e se non servirà a nulla – come certamente avverrà –, sarà una voce in più nel coro dei tanti che almeno ci provano…
Sorge spontanea una domanda: ma perché?
Non posso rivolgerla direttamente al governo – almeno in questo momento, ma lo farei tanto volentieri – , ma, essendo da anni quotidianamente impegnata nel terzo settore, esattamente nell’ambito della dilagante e letale piaga della povertà educativa, azzardo una risposta che l’esperienza sul campo mi detta e che, a onor del vero, investe a cascata tutte le istituzioni: dal governo, ai comuni, alle scuole, financo alle parrocchie e, cosa forse più sorprendente ancora, con un’onda anomala orizzontale, talvolta oppone una all’altra le associazioni stesse…
Se la domanda è: “ma perché questo tenace, infido accanimento contro le associazioni del terzo settore?”, la risposta a mio avviso è: “perché ci penso io!”
Ecco, a mio avviso, il grande problema di gran parte delle persone: delle persone, sottolineo, non del governo: gli interventi roboanti ci sono, le iniziative eclatanti ci sono: pensiamo, per esempio, a Caivano che, con il suo orrore, ha dato vita a un decreto per “apportare misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori stessi in ambito digitale” (decreto-legge 15 settembre 2023 n. 123). Ci penso io e lo faccio dispiegando tutta la potenza del mio braccio, lo faccio e lo grido e accendo sul mio agire più luci possibili…
Va bene, certo che va bene, evviva i bonus o le soluzioni che scendono dall’alto. Che, detto fra noi, non è poi altro che il tuo dovere, caro governo. Ma non sarà il tuo ultimo colpo di spugna, come già si vede, ad arginare e porre termine alla povertà educativa.
È come se chi detiene – o ritiene di detenere – un potere pensasse di essere indispensabile e, soprattutto, sufficiente. Non ci vedo neanche malafede, penso sia proprio una deriva interiore di chi esercita un’autorità: ci sono io e ci penso io! E c’è e ci pensa pure, non lo metto in discussione, ma costruire un avveniristico ponte sullo stretto di Messina – mi sia lecito questo paragone – con un pilone conficcato a Scilla e uno a Cariddi, pronti a ingurgitarlo al primo movimento delle loro viscere, non porta a nulla, se la rete viaria interna della Sicilia versa in condizioni drammatiche! Da ventotto anni percorro la strada a scorrimento veloce Palermo – Agrigento, con le sue voragini mortali e i suoi terrificanti cantieri mai chiusi… Governo, occupati di quella prima, poi di tutte le vie, e poi di tutte le straduzze che da quella si diramano, perché è di quelle che la gente ha bisogno ogni giorno! Non ne hai conoscenza, non hai tempo, non hai risorse? Male, certamente, ma almeno delega, fidati, lascia fare! Non sarà piuttosto che sulle straduzze si accendono solo vecchi e incerti lampioni, mentre sul ponte brillano riflettori d’avanguardia assoluta?
Ecco, con la povertà educativa credo funzioni allo stesso modo: ci sono i grandi che stanziano milioni, che urlano slogan ed escogitano leggi, che si vantano delle loro coraggiose riforme (vecchie in realtà come il cucco e di dickensiana memoria): come ha appena scritto Roberto Maier, “talvolta in Italia sembra che un governo non sia degno di questo nome, finché non mette mano all’istruzione”. E intanto la povertà educativa aumenta, e l’ascensore sociale è bloccato e la forbice della disuguaglianza si divarica senza sosta…
E allora ecco le piccole associazioni che si rimboccano le maniche e lavorano, piano piano, silenziosamente, nelle viuzze dove non si accendono nemmeno i lampioni comunali, perché qualcuno li ha presi a sassate e nessuno si dà la briga di cambiare la lampadina frantumata. Ecco le associazioni che, una in un modo, una in un altro, avvolgono i ragazzi in un mantello di senso, di cura, di affetto se non altro; chi con lo sport, chi con il gioco, chi con la musica, con il teatro, con la cultura. Ecco le associazioni che lottano quotidianamente per promuovere il loro modesto lavoro, per sopravvivere, per attingere a quel fondo, per recuperare due soldi da quel bando, per guadagnarsi la fiducia di un amico alla volta, perché una volta all’anno scriva quel benedetto codice fiscale sulla sua dichiarazione dei redditi.
Solo le associazioni percorrono le strade della periferia delle città e del mondo, le più piccole e malfamate, quelle dove i grandi non passano perché non ne conoscono l’indirizzo.
Perché affossarle, umiliarle con queste decisioni guerce proprio come il Mal governo di Lorenzetti che abbiamo appena presentato ai ragazzi? Occhi che si incrociano sulla punta del proprio naso: la cosa più lontana che sia dato loro vedere. E di quella si occupano.
E questa miopia, come un flagello, dal Governo dilaga sui Comuni e poi sulle Scuole, dove non di rado un dirigente o un professore guarda le tue proposte di collaborazione con sospetto e un pizzico di alterigia perché tanto ci pensa già lui; e non risparmia le Parrocchie questa miopia dove, se chiedi a un parroco di appendere un manifesto di invito alle tue iniziative, ti viene risposto che tanto ci sono già loro a offrire cose belle ai ragazzi. È quella stessa miopia che raggiunge talvolta i genitori che tanto sanno già loro quale sia il bene dei loro figli… dei genitori però si parla sempre e comunque male.
Ed ecco che il cuore è avvolto da questa strana, triste sensazione di dare quasi fastidio, dal sospetto che esista una silente competizione fra adulti che si occupano di giovani, una soffocata paura di perdere il primato del loro affetto e il controllo su di loro, un nebbioso terrore che il Piccolo, con la sua semina discreta e volontaria fatta ancora a mano piegando la schiena sui campicelli, superi il Grande che, stipendiato, e quindi obbligato a farlo, sfreccia col suo trattore colossale, spargendo alla rinfusa semi indistinti su distese sterminate…
Ma esiste il Bene dei ragazzi: vogliamo guardare a questo e basta? Perché questo Bene dei ragazzi coincide poi con un Bene assai più grande, quel Bene Comune che è fatto di tutti e da tutti ed è per tutti.
In Piccioletta barca, a sostenerci in questa visione è Virgilio, guida di Dante nei primi due regni dell’oltre-mondo: è lui che insegna come, nella vita di un maestro, di un genitore, di un capo arrivi sempre il momento in cui, se si ha davvero a cuore la crescita di una persona, è opportuno, è fondamentale, per quanto doloroso, fare un passo in là, sottrarsi garbatamente alla sua vista: non esiste proprietà privata sui ragazzi, non a tutto si arriva, non di tutto si detiene il sapere e così, se ci accorgiamo che un ragazzo ha bisogno di un accompagnamento quotidiano nei compiti, lo indirizziamo con piacere ai doposcuola di quartiere o troviamo un adulto di fiducia che lo segua in modo personalizzato; se un ragazzo ha difficoltà specifiche o richiede un sostegno emotivo o psicologico che esuli dalla nostre capacità e competenze, lo affidiamo a chi ne sa più di noi; dialoghiamo con maestri e professori con animo sereno: senza dare e senza ricevere lezioni di vita; affianchiamo i genitori senza mai pensare di sostituirci a loro; se in un ragazzo vediamo un talento particolare, lo sosteniamo e lo accompagniamo ad approdi più grandi di noi.
Non si sconfiggerà la povertà educativa, finché ciascuna istituzione vorrà esibire la somma delle vite salvate e avocare a sé sola il dovere-diritto di salvare; non ci sarà giustizia, finché chi si occupa autenticamente di giovani poveramente educati non farà propria la convinzione di Madre Teresa: “non sommo il numero di poveri che aiuto, semplicemente sottraggo ognuno di loro dallo sterminato totale della povertà…”.
Il Governo per primo dovrebbe riconoscere con umiltà i propri limiti – alcuni dei quali probabilmente endemici e irrisolvibili – e guardare al Terzo settore con gratitudine e spirito di autentica collaborazione, agevolando e promuovendo la sua indefessa operosità o, quanto meno, non smantellandola e ostacolandola con tanto meticoloso puntiglio…