PROVE DI DEMOCRAZIA
GENTILEZZA BENE CAPITALE: INTERVISTA A GIULIA NEGRI
“FUGACI INCURSIONI NELLA NATURA…”
Dall’altra parte dell’Oceano, una ventina d’anni dopo Leopardi, nasceva Henry David Thoreau, scrittore e poeta, precursore dell’ambientalismo, considerato a buon diritto padre dell’ecologia. Dopo la laurea a Harvard e un periodo dedicato all’insegnamento, nel 1845 Thoreau decise di abbandonare la città per vivere in totale isolamento nei boschi. Da questa straordinaria esperienza, nasce la sua riflessione sull’armonia del mondo naturale e sul rapporto che l’individuo dovrebbe ripristinare con esso. Questa riflessione è contenuta nell’opera maestra di Thoreau, Walden. Una sorta di “Islandese” americano apparirebbe dunque Thoreau, ma le differenze sono sostanziali.
La prima riguarda chiaramente il milieu: Europa e Stati Uniti. Che differenza c’è? Matilde suggerisce che in America gli spazi vuoti e immensi permettevano un contatto più immediato fra uomo e natura e Mattia aggiunge che, a quell’epoca, gli Americani vivevano il loro grande momento di liberazione dall’Europa e avevano forse uno spirito maggiormente incline alla libertà e all’avventura.
Effettivamente, chi abbandonava l’Europa per seguire il sogno e il mito del Far West, si trovava davanti un territorio sconfinato e incontaminato. Nel piccolo e prezioso libro Camminare del 1862, Thoreau scrive:
”Le fondamenta dei manieri erano ancora da posare e i famosi ponti ancora da costruire. E così ho intuito che questa nostra stessa epoca è l’epoca eroica, anche se noi non ne siamo consapevoli perché l’eroe è comunemente il più semplice e il più oscuro degli uomini.”
Lo sappiamo bene: la cultura, la storia, l’arte, il mito nascono a Est; le grandi civiltà antiche, la scrittura, la ruota sorgono a oriente, come il sole: da est, l’uomo si muove alla scoperta e alla conquista del mondo sconosciuto. Quando l’Europa già è “tutta piena” (di persone, di strade, di fabbriche e di rumore), l’America è certamente più vuota e questo costituisce di per sé una bella differenza. Lo dice così Thoreau
“Andiamo a est per capire la storia e studiare le opere d’arte e la letteratura, sulle orme della nostra razza. Ci volgiamo a ovest invece come verso il futuro, con spirito di iniziativa e avventura.”
Thoreau sta dunque su un confine, una frontiera:
“Da parte mia sento che, per quanto riguarda la Natura, vivo una sorta di frontiera, ai confini di un mondo in cui compio occasionali e fugaci incursioni (…) Per percorrere una via che io chiamo ‘naturale’ seguirei volentieri anche un fuoco fatuo attraverso paludi e acquitrini, ma né la luna, né le lucciole mi hanno mai mostrato la strada che vi conduce. “
Thoreau, a differenza dell’Islandese, non gira in tondo, non va a cercare risposte alle domande e al dolore che gli nascono nel cuore, ma cerca il rapporto autentico con la natura: va nella natura con le domande e con le risposte, va con i suoi libri, con i Greci e i Romani, va con la cultura. Non è un selvaggio, non chiede risposte alla natura, ma si pone in dialogo con essa, portando la propria bella energia, quella che già possiede, quella che gli consentirà di ascoltare e imparare con umiltà ma anche con cognizione di causa. Galileo di Brecht ci ha detto che “finché l’umanità sarà troppo ignorante per sviluppare le sue proprie energie, non sarà capace nemmeno di sviluppare le energie della natura che le vengono”. Così, mentre l’Islandese continuamente fugge, Thoreau semplicemente vive. La fuga è sempre un problema: la via dell’uomo è una linea retta, va in una sola direzione di crescita e non può avere sempre alle spalle una fuga.
L’Islandese morirà di natura, cioè proprio di quel male che ha fuggito per tutta la vita.
Spesso gli uomini pensano di risolvere situazioni difficili con radicali virate della loro esistenza che finiscono con il perdere di vista l’intero. Pensiamo banalmente alla scelta vegetariana: i ragazzi sono preparatissimi a riguardo. L’uomo smette di mangiare carne per protesta contro gli orrendi allevamenti intensivi, dice Elisabetta; perché l’allevamento inquina, suggerisce Emma; o perché non vuole uccidere gli animali sostiene Viola, o perché si consuma tantissima acqua, conclude Anna. Tutto è vero: ma, al di là della scienza della nutrizione, cosa succederebbe in un mondo sovrappopolato di ovini e bovini allo stato brado?
Pensiamo all’inquinamento delle automobili: via i combustibili e largo alle auto elettriche! Bene, ma per ricaricare milioni di auto elettriche, da dove prendiamo l’energia? Come si trova la soluzione? È difficile, è un processo complesso e lento che coinvolge non una, ma cento scienze insieme e certo non lo sappiamo noi. Una cosa possiamo dirla: mai smettendo di essere uomini!
Che tutti andassimo a vivere nelle foreste non farebbe bene né all’uomo né alle foreste. Gli uomini, in fondo, curano la natura. La parola paesaggio contiene la parola paese: la cura del paesaggio non è solo la cura della natura, ma anche di chi la vive. Apriamo il nostro dibattito, partendo dalle domande che la lettura di Leopardi, accanto a quella di Thoreau, ci suggerisce.
La prima: «La civiltà sembra spesso volgere verso il male e forse anche a noi, come all’Islandese, verrebbe la voglia di lasciare il mondo complesso e vivere da soli nella natura. Ti è mai capitato di amare la natura più della città in cui vivi?». A questa domanda, la risposta è sorprendente unanime: tutti i ragazzi, pur apprezzando il contatto con la natura, la vedono come luogo di svago e di riposo, ma nessuno di loro lascerebbe al momento la città in modo definitivo. Elisabetta dice che è una questione di crescita: da bambini si preferisce stare al parco, giocare liberi all’aria aperta, ma quando si cresce si capisce che la città offre più occasioni.
E allora chiediamo: «Nel mondo contemporaneo si parla di Great resignation: moltissime persone hanno lasciato il lavoro e si sono ritirati in campagna a lavorare la terra o comunque a dedicarsi a lavori autonomi; alla base di questa scelta si ritiene esserci la pandemia. Perché?»
Fioccano risposte: la gente si sentiva rinchiusa e si è stancata di stare in città; ci si è abituati a vivere da soli e si va a vivere in campagna dove c’è più spazio; si è capito che il lavoro non è l’unica cosa importante; si ha paura di stare vicino ad altre persone, per il contagio, e quindi ci si isola…Tutto giusto, ma quindi – incalziamo – chi fa una scelta del genere è più vicini all’islandese o a Thoreau?
Unanime anche qui la risposta: all’Islandese perché sta scappando da qualcosa! Scappare è un’attitudine comune agli uomini e per questo un’ultima proposta di riflessione riguarda la delusione rispetto a qualsiasi cosa, (uno sport, una scuola, un’amicizia…), che spinge a fuggire e cercarne sempre una nuova. Poi anche questa finisce per deludere e se ne cerca un’altra ancora. Qual è il problema di questo circolo vizioso? Come si fa a uscirne?
“La questione – dice Anna – è che in questo modo non riesci a fermarti un attimo a pensare quello che ti piace veramente, tutta l’energia va nel continuo cambiare!”. “Non pensiamo neanche a cosa sia successo per davvero, cerchiamo subito altro” – confessa Mattia.
“Quando un’amicizia va male è sbagliato andare a cercarne un’altra. Se si sta male da soli nessuno riuscirà mai a farci stare bene. Devi prima imparare a stare bene con te stesso” – suggerisce Edu.
“Se una scuola non piace, non va cambiata per forza, bisogna capire se sia necessario cambiare qualcosa in sé” – dice Lora. “Anche perché – chiude Adrian – è un mio diritto trovarmi bene a scuola e quindi bisogna fare andare bene le cose per forza”.
È sempre bello ascoltare i ragazzi confrontarsi fra di loro e con noi: la loro energia pulita e libera alimenta la nostra. Proprio come Thoreau, siamo su una frontiera: con la nostra piccola cultura, con le nostre domande, con i nostri dubbi, facciamo fugaci incursioni nel loro mondo giovane e il dialogo che ne nasce ci aiuta a capire, imparare e crescere nel nostro mondo adulto.