RHAPSODY IN BLUE: L’ENERGIA DI UNA METROPOLI E DI UN’ORCHESTRA
“FUGACI INCURSIONI NELLA NATURA…”
PROVE DI DEMOCRAZIA
Confesso che, quando l’abbiamo fondata, non ero molto consapevole del fatto che la Piccioletta Barca fosse un’associazione (per essere più precisi, un’associazione di promozione sociale, A.P.S.): eravamo un piccolo gruppo di amici mossi da una passione educativa e dall’amore per la cultura, cercavamo un riconoscimento legale per un’attività no-profit e, come immagino capiti spesso, non abbiamo troppo badato al fatto che, nel nostro ordinamento, una delle richieste vincolanti è la conduzione democratica delle attività di volontariato. Mentre, nel 2016, scrivevamo il nostro statuto, riadattando alle nostre esigenze un modello propostoci dal Centro di Servizi per il Volontariato (CSV) di Milano, guardavo un po’ stranito la struttura di governo: assemblea, consiglio direttivo, cariche da rinnovare ogni quattro anni, libro soci, verbali, quote associative… immaginavo che la nostra amicizia e la generosità dell’opera sarebbero bastate e che le scadenze istituzionali fossero degli adempimenti poco utili. Mi sbagliavo.
Mi spiego: sia nel direttivo che tra i soci adulti, non abbiamo mai sentito l’esigenza di mettere una proposta ai voti; il confronto tra noi avviene quotidianamente, nella programmazione, nell’attuazione e nella verifica delle attività; il disaccordo è all’ordine del giorno, ma lo scioglie un dialogo appassionato, l’attenzione per i ragazzi e la stima – oltre all’affetto – l’uno per l’altro. Pur avendo sempre diligentemente assolto alle incombenze delle convocazioni e dei verbali, solo in rarissimi casi abbiamo dovuto ricorrere ai meccanismi statutari per risolvere una questione. Il fatto che anche i ragazzi fossero soci appariva, all’inizio, una questione formale: piccoli com’erano, non potevano certo condividere con noi le scelte e le responsabilità; nei processi educativi, c’è bisogno di adulti che sappiano prendere una direzione chiara, rassicurare i più piccoli sulla bontà del cammino e non gravarli con le loro incertezze.
Lentamente, mentre il numero dei ragazzi cresceva e l’Associazione ampliava i suoi spazi, lo scenario si è chiarito. Per strano che possa apparire, tutto è partito dalle cose: la nuova sede, gli arredi, gli spazi e i materiali chiedevano la cura di tutti. In tempo di Covid, poi, dopo ogni attività, era necessario igienizzare i tavoli e le sedie e i ragazzi hanno imparato presto a farsene carico: tra stracci, guanti e igienizzante, gli ambienti della Piccioletta Barca diventavano sempre più casa loro. L’etimologia della parola cosa – soprattutto nella sua forma germanica (ding-thing) – fa riferimento a un’assemblea, a una convocazione; le cose appaiono nel nostro orizzonte come ciò di cui occorre avere cura insieme: le cose ci raccolgono. Anche l’italiano conserva un legame linguistico con il latino causa, intesa come dibattito: gli oggetti sono gettati nel mezzo dei legami umani, ci chiamano in causa e, facendo parlare di sé, costruiscono la rete delle nostre relazioni.
I ragazzi non sono figli nostri e non abbiamo mai amato il termine utenti; abbiamo pian piano riscoperto l’importanza del loro nome, soci, e abbiamo imparato a trattarli come tali. Il primo passo, semplicissimo ma simbolicamente importante, è stato consegnare loro la tessera associativa, con un’immagine di Dante sul fronte e, sul retro, in bella mostra, la parola SOCIO: la tengono con sé, nei loro portafogli, alcuni ne hanno già collezionate quattro, ogni anno diverse e colorate. Poi, quando la storia viva ci ha suggerito che i tempi erano maturi, abbiamo avviato la nostra prova di democrazia. I primi ragazzi si sono candidati, abbiamo indetto delle elezioni con tanto di liste, schede e cabina elettorale. Abbiamo spiegato loro cos’è un’associazione, un bilancio, abbiamo parlato dei nostri donatori e di quante persone credono nella loro crescita culturale. E i ragazzi non hanno mancato di fare la loro parte. «La libertà – cantava Giorgio Gaber – non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero: libertà è partecipazione»: se è vero che non c’è libertà senza partecipazione, non c’è nemmeno partecipazione senza democrazia.
La storia che ho raccontato è istruttiva per diversi motivi. Anzitutto mostra che le istituzioni rimangono delle scatole vuote se l’esigenza di partecipazione non nasce dall’esperienza realmente vissuta. Ci vuole tempo e pazienza per fare la democrazia, imporla improvvisamente dall’alto rischia di diventare un esercizio retorico; gli ideali più elevati prendono carne nel quotidiano esercizio delle relazioni, là dove la vita ci sollecita. Le cose, con la loro resistenza alla nostra presa, con il loro bisogno di cura e di attenzione, sono il terreno generativo e rigenerativo delle idee. Al contempo, abbiamo imparato che le forme istituzionali hanno la loro ragion d’essere: gli ordinamenti che la storia ci consegna devono essere accolti con intelligenza, ascoltati e lentamente scoperti, perché al momento giusto sono in grado di mostrare la loro bontà. Quando, in Piccioletta Barca, abbiamo incominciato il nostro esercizio democratico, ci siamo accorti di avere già a nostra disposizione gli strumenti di cui avevamo bisogno: per fortuna, non dobbiamo svegliarci ogni mattina e reinventare da capo il mondo.
Abbiamo anche imparato che per poter usare con frutto i meccanismi della rappresentanza serve un linguaggio comune, un senso di appartenenza, un’intuizione condivisa della necessità gli uni degli altri. Questo linguaggio si è costruito, passo dopo passo, in tutte le nostre attività: chiedendo ai ragazzi di aiutarci ad apparecchiare, sparecchiare e cucinare in vacanza, invitandoli a prendere la parola di fronte a un’opera letteraria, insistendo sulla puntualità e sull’ordine, consegnando loro solennemente tutti gli anni la tessera associativa. Allo stesso tempo, ci siamo accorti che la proposta delle elezioni ha rinvigorito in alcuni piccoli soci il senso di ciò che abbiamo in comune, li ha resi orgogliosi di poter essere protagonisti delle scelte e ha moltiplicato il desiderio di stare insieme.
Uno degli scopi statutari della Piccioletta Barca è formare cittadini adulti e consapevoli, capaci di senso critico e di un confronto aperto e democratico: ogni sabato, l’Accademia si apre con una presa di coscienza di ciò che sta accadendo nel mondo; parliamo – purtroppo – delle guerre, dei fatti di cronaca, delle istituzioni e dei loro funzionamenti; su una delle nostre pareti c’è un cartellone con i nomi dei presidenti della Repubblica Italiana e con la data del primo referendum in cui, nel nostro Paese, le donne hanno avuto diritto di voto. Siamo contenti che tutto ciò non sia più solo una narrazione, ma trovi la sua verità nell’esperienza pratica dei piccoli soci. Educazione e democrazia devono crescere insieme: fu la grande intuizione di John Dewey, filosofo e pedagogista statunitense che già nel 1916 pubblicò Democracy and Education, ridefinendo da capo gli scopi e i metodi dell’educazione. Dewey fu anche molto più di questo: si adoperò affinché il voto fosse esteso alle donne, denunciò la violenza dei totalitarismi e fondò una scuola nuova presso la Chicago University. Mi colpisce, ripercorrendo la sua opera, che la democrazia non sia considerata anzitutto come uno strumento di governo, ma come un processo vitale che libera le energie e le capacità individuali, trasformando i problemi quotidiani in uno spazio di pensiero comune: significa che cultura, democrazia e educazione possono crescere solo insieme.