
L’ENERGIA DEL CORPO

LA MAGIA DEL CORO GRECO
VARIAZIONE SU UNO O L’ALTRO DI POCHI TEMI…

A distanza di pochi giorni una dall’altra, mi si sono presentate due occasioni, molto differenti fra loro, di riflettere su una risorsa dell’animo umano, tanto straordinaria quanto poco coltivata: la capacità di rendere unica ogni giornata, nello scorrere apparentemente ripetitivo delle settimane, dei mesi, degli anni.
Da una parte, la visita a Palazzo Reale alla mostra di Giorgio Morandi, artista che amo da quando sono ragazzina; dall’altra, la visione al cinema del film Perfect days di Wim Wenders, magistralmente interpretato dall’attore giapponese Kōji Yakusho.
A unire in un’unica rasserenante sensazione di benessere le due esperienze di spettatrice è la profonda condivisione del messaggio di cui i due artisti, così almeno nell’interpretazione personale che do alle loro opere, sono portavoce: se si pone attenzione e cura ai particolari di ogni evento che ci è dato vivere, facilmente ci si sottrae alla inevitabile routine cui le nostre vite sono sottoposte: esercizio che pratico con spontaneità da anni e che produce, come suo esito naturale, un’adesione grata e serena alla quotidianità che scorre e, al contempo, una sofferta pena per chi anela sempre e comunque, con malcelata insofferenza, a un tempo “altro”, come quello delle vacanze: sport prediletto dei giovani studenti, in mezzo ai quali vivo, ma anche di tanti adulti…
Nelle sale dedicate alla mostra di Giorgio Morandi, si passeggia fra opere battezzate con due soli nomi: Paesaggio, in minor numero, e Natura morta, in grandissimo numero: ed eccole lì, le bellissime bottiglie di Morandi, riconoscibili da chiunque, a me da sempre care: bottiglie, disposte con grande disciplina, spesso in linea retta, talvolta schierate insieme a caraffe o vasi, a tazze o ciotole. Natura morta, Natura morta, Natura morta… una dopo l’altra, le tele accompagnano in un movimento che genera pulizia e pace interiore, che quieta l’animo – il mio almeno – che rassicura rispetto a un kosmos, un ordine, che ribadisce la kosmesis, l’ornamentale bellezza gratuita della creazione. Oggetti semplici, inanimati, disposti semplicemente in uno spazio altrettanto inanimato, che sembrano avere a che fare con la morte – cui richiama inesorabilmente l’unico aggettivo che li intitola –, e che a me appaiono, al contrario, paladini energici, fieri e promettenti di quella pace che fatica sempre più ad alzare la testa. La magia è fatta dalle sublimi geometrie e anche dai colori, sempre perfetti, mai insensati, a creare un mantello che avvolge lo spettatore in una morbida armonia e ad aprire una piccola finestra che lasci intravedere altro e guardare oltre. Una tela dopo l’altra, medesimo soggetto, medesimo titolo…
Con gli occhi ancora pieni delle pure essenze di Morandi, sono sprofondata su una poltrona rossa del cinema, per seguire il signor Hirayama nella sua vita semplice, scandita da una routine perfetta lungo le strade della frenetica capitale giapponese nel film Perfect days. Di mestiere, Hirayama pulisce i bagni pubblici – avveniristici alcuni, sempre eleganti e sofisticati –, dislocati in un quartiere della metropoli. Hirayama apre gli occhi al mattino, svegliato dal rumore di una scopa che spazza un cortile, sorride e compie sempre la stessa sequenza di gesti, prima di aprire la porta della sua modestissima casetta, da cui esce sollevando sempre lo sguardo al cielo: beve un caffè in lattina che cade rumorosamente da un distributore e sale sul suo pulmino con cui, al suono di memorabili canzoni rock anni ’60 e ’70, comincia il giro delle toilette pubbliche; la sera torna a casa, legge e spegne la luce. È diverso solo il giorno di riposo, in cui porta la tuta da lavoro in una lavanderia automatica, va a comprare un libro e pranza in un altro locale.
Mentre di Giorgio Morandi conoscevo l’incanto, nulla sapevo di questa pellicola che, allo stesso modo, stavolta inaspettato, ha prodotto in me grande serenità e gioiosa soddisfazione per il miracolo che è la vita.
Perché Hirayama, con la cura e l’attenzione che pone in ogni suo gesto, è capace di rendere ogni giornata particolare, di introdurre una sfumatura di colore nuova, di dare un contributo positivo alla vita di qualcuno e di permettere che altri arricchiscano la sua.
Scrisse Giorgio Morandi: “io penso di essere riuscito a evitare il pericolo di ripetitività, perché ho dedicato più tempo e attenzione all’ideazione di ognuno dei miei dipinti come variazione su uno o l’altro di pochi temi”. Certo, esiste un grave pericolo di ripetività nelle giornate di ognuno di noi: basti pensare che ogni mattina bisogna lavarsi e vestirsi e ogni sera svestirsi e lavarsi! I ragazzi vanno a scuola e poi studiano; gli adulti lavorano.
«Cosa hai fatto ieri?» — «Cosa vuoi che abbia fatto? Sono andato a scuola e poi ho studiato e poi ho un po’ giocato al pc»: dialogo avvincente medio fra me e un ragazzo. Non che con gli adulti vada molto meglio…
Ma un giorno non è mai uguale a un altro: ho sempre insegnato ai miei figli che ogni giorno si esce di casa in un modo e ci si ritornerà un poco diversi, non tanto, ma almeno un po’, benché si vada sempre nella stessa direzione e negli stessi luoghi. Ogni giorno ha le sue micro avventure, le sue piccole rivelazioni, i suoi accadimenti e i suoi incontri inaspettati; ogni parola pronunciata o ascoltata può generare una cascata dirompente di vita; ogni sguardo rivolto o ricevuto può produrre una valanga di esistenza.
Quante piccole variazioni si possono fare su uno o l’altro di pochi temi: andare a scuola la mattina e studiare nel pomeriggio. Si può, per esempio, cambiare anche minimamente il percorso o la compagnia o l’ora a cui si esce di casa; si può parlare con un compagno nuovo, mai considerato prima; si può cercare una nuova postura per seguire meglio le lezioni, si può guardare al professore con uno sguardo diverso per scoprire i suoi punti forti, si può pulire il vetro della finestra che dà sui giardini, inventare una nuova merenda per ogni giorno della settimana; si può cambiare la stanza o il tavolo di studio, organizzarlo diversamente a seconda delle materie, renderlo più gioioso con una piantina grassa; si può ricoprire un libro, si può invitare un amico a studiare, si può inventare un esercizio di relax ogni cinque pagine, si può escogitare un modo diverso di sottolineare o prendere appunti o ripetere una lezione…
Ma ci vuole grande attenzione, l’attenzione con cui Giorgio Morandi ideava ogni sua variazione; ci vuole cura, la cura con cui Wim Wenders muove le mani di Hirayama mentre pulisce le piastrelle e i sanitari.
Ci vuole capacità di sguardo, di ascolto e di parola; guardando bene, si colgono sfumature, particolari, vuoti e pieni che modificano il contorno di sé e degli altri; ascoltando a fondo, si percepiscono sussurri, silenzi e rumori che riempiono di insolito; parlando con cura, si gettano ponti per l’eternità.
Il miracolo della vita è negli occhi di chi guarda, nelle orecchie di chi ascolta, nella bocca di chi parla.
Vivere questo miracolo può essere talento ricevuto ma, come tutto, può essere risultato raggiunto con meticoloso esercizio di vita, un allenamento denso di sfide, cui quotidianamente cerco di invitare i ragazzi più giovani. Quanto si impara da piccoli non si dimentica più e il mondo ha bisogno di adulti capaci di meravigliarsi di ogni nuovo giorno. Attendere folgorazioni sempre nuove dall’esterno, sempre nuovi stimoli dal cielo, sempre nuove proposte dagli altri, sempre nuovi portenti dai numi: questa è la vera natura morta dell’uomo!
A chiudere la mostra di Morandi, sono le parole del grande Bernardo Bertolucci che così commenta i quadri del pittore bolognese: “nei suoi quadri, così apparentemente semplici, così rigorosi, c’è sempre un luogo, un punto da cui spiare l’infinito”.
A chiudere il film di Wenders, è un emozionante, lento primo piano di Hiryama che guida il suo pulmino verso un nuovo giorno di lavoro, dando corpo con una mimica facciale straordinaria alle sommesse note dell’intramontabile Feeling good:
“It’s a new dawn, it’s a new day, it’s a new life for me, and I’m feeling good.”
Ogni tela di Morandi è nuova e irripetibile; ogni giorno di Hirayama è nuovo e irripetibile.
Ogni mia ora è nuova e irripetibile, se coltivo la certezza che il quotidiano non esiste a prescindere da me, che ogni alba è promessa di vita nuova, che c’è sempre un punto del mio piccolo spazio da cui spiare l’infinito…