
LA PIRAMIDE DEL CORAGGIO

SUI MONTI A RESPIRARE LIBRI: INTERVISTA A MICHELE BONELLI
DILIGITE IUSTITIAM

La strada fatta insieme sin qui, che ci ha dato la possibilità di incontrare i primi codici e di confrontarli, ma anche di veder sorgere, in Antigone, la grande tensione tra la legge e la morale, ha illuminato il vero protagonista di questo anno: lo spirito della legge. La legge esiste solamente perché qualcosa di più grande della legge la guida, la genera e la in-spira. Inafferrabile, irriducibile alle norme e ai codici, il senso della giustizia guida le decisioni umane, corregge le storture e abita l’universo delle leggi come una forza invisibile che tutto muove. Non stupisce, dunque, che proprio a un pittore, nel Trecento, un comune italiano abbia chiesto l’impossibile: rendere visibile l’invisibile, rappresentare con la sua arte lo spirito della legge. È proprio questo il grande potere degli esseri umani: l’impossibile diventa possibile e l’invisibile diventa visibile
La città di cui parliamo è Siena e l’artista visionario non può essere che Ambrogio Lorenzetti. A lui, nel 1338, il Governo della città affida le pareti della sala più preziosa, quella del Consiglio dei Nove, affinché vi affreschi una grande e imponente visione del Buon Governo. Milleottocento anni prima, il grande legislatore Solone aveva fatto ricorso alla poesia, nella sua elegia sul buon governo. Nella Siena del basso Medioevo, che da anni accoglieva le opere di grandi pittori, tra cui Duccio da Boninsegna, il protagonista è la pittura.
Riflettiamo subito, prima ancora di accostarci alle immagini, su questa scelta. Mattia immediatamente pensa al fatto che, a quei tempi, molte persone non sapevano leggere e, dunque, un dipinto sarebbe stato accessibile a tutti, proprio come dovrebbe essere ogni legge – lo abbiamo imparato con il codice di Hammurabi. Tiziano aggiunge che se lo spirito della legge è immateriale, un affresco può dargli materia, può renderlo visibile. Nicolas, da poco arrivato nell’accademia, sottolinea che i governanti, chiamando Lorenzetti, avevano anche guadagnato uno sguardo esterno, capace forse di vedere aspetti importanti della vita comune. Le diverse osservazioni convergono in una grande verità: che cosa sia lo spirito della legge noi non lo sappiamo, fino a quando qualcuno non lo dipinge. In effetti, la collocazione del ciclo di affreschi nella stanza in cui i Nove prendevano le decisioni, va proprio in questa direzione: Lorenzetti aveva il compito di ispirarli, ossia di rendere accessibile quello spirito che, affinché si realizzi un buon governo, deve abitare in chi guida la città. I Nove, dunque, sono i primi destinatari dell’opera: nove cittadini provenienti da diversi ceti sociali, eletti dalla gande assemblea, che stavano in carica due mesi e, in quel periodo, si dedicavano in modo così totale a guidare la città da restare praticamente chiusi all’interno del palazzo ventiquattr’ore su ventiquattro.
Siena, in questi anni, è una città ricchissima: mercanti di stoffe, di ceramiche e di tutto ciò che il territorio poteva produrre attraversavano il mondo e tornavano con ricchezze e competenze inimmaginabili. L’orgoglio di Siena – che Dante, nella Commedia, spesso schernisce – l’aveva portata persino a guadagnare un porto e a coltivare il sogno di diventare, proprio lei, città delle colline toscane, una repubblica marinara.
L’investimento del Governo di Siena per questo grande e complesso ciclo di affreschi, fu senza dubbio importante: in un momento storico così complesso, l’ispirazione è essenziale. Non possiamo che riflettere insieme ai ragazzi: Siena è l’esempio di una città lungimirante che decide di investire sulla cultura, perché sa che non c’è nulla di più prezioso.
Il compito che Ambrogio Lorenzetti si assume, dunque, non è un compito decorativo, ma politico: sulle pareti della sala egli non deve solo applicare la sua arte, ma, insieme, una visione del mondo e della storia. Decide, dunque, di dividere il ciclo in quattro grandi scene. Sulla parete nord dipingerà l’Allegoria del Buon Governo (allegoria, lo ricordiamo, significa semplicemente «dire qualcosa con qualcos’altro»); sulla parete est – dove sorge il sole, il particolare non ci sfugge – rappresenterà gli effetti di una gestione buona del governo. Infine a occidente, dove il sole muore, lo spazio sarà occupato dall’allegoria e dagli effetti del mal governo. Prima di addentrarci nella lettura dell’affresco, ci attardiamo virtualmente, nella stanza che precede quella affrescata da Lorenzetti. Anche lì c’è un affresco, rappresenta una Madonna con in braccio il bambino e circondata da una corte di santi. I ragazzi la guardano bene e si accorgono che, nell’iconografia, Maria è rappresentata come una regina in trono, come qualcuno che sta governando; i santi attorno sembrerebbero il suo consiglio. Emma azzarda un’interpretazione ancora più profonda: il preludio a qualunque decisione giusta è la religione, il piano ideale, insomma. Emma ha ragione: il Medioevo è un tempo molto religioso; tuttavia, come vedremo, la religione fa da preludio, ma non è la protagonista delle riflessioni di Lorenzetti, perché il tentativo dell’artista, certo richiesto dalla città stessa, sarà la costruzione di un’etica laica, condivisibile da tutti, universale. Il ruolo di questa Madonna, in tutti i casi, è confermato dal cartiglio che il bambino tiene in mano: «Diligite justitiam, vos qui iudicatis terram» (amate la giustizia, voi che giudicate la terra); il salmo antico ci introduce, dunque, al vero tema, ossia all’amore per la giustizia, amore che Lorenzetti dovrà saper ispirare.
Un’opera d’arte come questa chiederà una spiegazione impegnativa, perché le allegorie sono, spesso, costruite su accostamenti complessi. Ci aiuterà una canzone composta di sessantadue versi che Lorenzetti ha disseminato nel dipinto, nelle cornici o nei cartigli che alcuni personaggi reggono. Prima di incominciare la nostra lettura del lato nord, quello in cui si dispiega la grande allegoria del Buon Governo, chiediamo ai ragazzi cosa balza all’occhio, a un primo sguardo. Le risposte sono diverse: molti notano la grande figura sulla sinistra, ossia proprio il Buon Governo di Siena, un signore fiero con la barba grigia e lo sguardo determinato. Tiziano nota ai suoi piedi una lupa che allatta due bambini sottolinea il legame (per la verità solo mitico) di Siena con Roma. Qualcuno, invece, ritiene che la figura più importante sia la donna vestita di rosso sulla sinistra, circondata da altri personaggi in un unico gruppo coerente: lei è la giustizia, che controlla una grande bilancia. Su uno dei due piatti un angelo distribuisce pene e premi (la giustizia distributiva), sull’altro un altro essere alato consegna ai mercanti la misura per il commercio (è la giustizia commutativa). In effetti, tutto parte da questo gruppo di figure e non c’è dubbio che sia importantissimo. Matilde, tuttavia, nota una cosa: c’è una figura centrale, una donna distesa, che ha una postura tutta diversa dalle altre e che è vestita di bianco. Proviamo a disegnare le diagonali dell’intero dipinto e ci accorgiamo che il centro è davvero lei; ci accorgiamo, poi, che il bianco del suo vestito le permette di spiccare su tutti gli altri. È la pace il fulcro attorno a cui tutto sembra ruotare. Già. La pace. Proprio ciò che cui gli esseri umani avrebbero più di tutto bisogno. Forse il Buon Governo è proprio quello che non si lascia attrarre dagli orrori delle guerre. Forse è proprio il luogo in cui, prima di ogni cosa, possiamo abitare in pace. Insieme.
(continua)