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ESTATE A CACCIA DEI TESORI DI MILANO
Al maestro, con affetto
IL GRANDE GIOCO
Di: Beatrice Gatteschi - 13/09/23
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C’è un pae­se nel­la regio­ne del Cau­ca­so, a caval­lo tra Asia e Euro­pa, che da seco­li sem­bra ine­so­ra­bil­men­te desti­na­to a pro­sciu­gar­si come un laghet­to alpi­no sopraf­fat­to dal­la fero­cia del­la sic­ci­tà e dal­la vege­ta­zio­ne infestante.

È l’Armenia, cul­la del­la cri­stia­ni­tà, la cui sto­ria, dal 1200 a.C., con il gran­de regno di Urar­tu, fino a oggi è un sus­se­guir­si di con­qui­ste e scon­fit­te, di cre­sci­te e decre­sci­te, di acqui­si­zio­ni di ter­ri­to­ri e per­di­te e poi per­di­te e anco­ra per­di­te. Ai tem­pi del regno di Tigra­ne il Gran­de, nel I seco­lo a.C., i suoi con­fi­ni si esten­de­va­no dal Mar Medi­ter­ra­neo, al Mar Nero, al Mar Caspio; dopo la scon­fit­ta inflit­ta­le dal­le trup­pe di Pom­peo nel 66 a.C., l’Armenia diven­ne una del­le poste in gio­co fra pre­po­ten­ti gran­di e pic­co­li, vici­ni e lon­ta­ni; oggi non rag­giun­ge i 30 mila chi­lo­me­tri qua­dra­ti, poco più del­la Lom­bar­dia, per intenderci. 

Ampia nel­la par­te set­ten­trio­na­le e cen­tra­le, si chiu­de a sud est, non dis­si­mi­le da una costo­let­ta di agnel­lo, con uno stret­to lem­bo di ter­ra facil­men­te affer­ra­bi­le da zam­pe rapa­ci desi­de­ro­se di divo­rar­lo con le loro fau­ci: fau­ci che oggi appar­ten­go­no ai “lupi gri­gi” tur­co-aze­ri, aiz­za­ti e man­da­ti al mas­sa­cro da capi bran­co spre­giu­di­ca­ti e insaziabili.

Ho visi­ta­to l’Armenia que­sta esta­te e, come sem­pre avvie­ne, la pre­pa­ra­zio­ne pri­ma, la visi­ta in diret­ta e la ripre­sa dopo, fan­no del viag­gio una gran­de oppor­tu­ni­tà per stu­dia­re la sto­ria, pen­sa­re il pas­sa­to, il pre­sen­te e, in gene­ra­le, la natu­ra uma­na e, nel mio caso spe­ci­fi­co, per offri­re ai ragaz­zi spun­ti di riflessione. 

Il for­se poco con­so­no richia­mo a una costo­let­ta di agnel­lo sca­tu­ri­sce dall’accorato sen­ti­men­to nato nei con­fron­ti di un Pae­se pic­co­lo e debo­le – nono­stan­te il poten­zia­le offer­to­gli dal­la stra­te­gi­ca posi­zio­ne geo­gra­fi­ca, dal genio e dal­le abi­li­tà del­la popo­la­zio­ne, dal­la bel­lez­za e varie­tà del­la natu­ra, dal­la poten­za e sacra­li­tà dell’arte – la cui car­ne, dila­nia­ta dai mor­si acu­ti del pri­mo gran­de geno­ci­dio del XX seco­lo, non smet­te oggi di sol­le­ci­ta­re appe­ti­ti vora­ci. Una defi­ni­zio­ne meno cruen­ta, ma assai più sub­do­la è quel­la di posta in gio­co in quell’interminabile e vio­len­to gran­de gio­co, appun­to, che dà il tito­lo a que­sto articolo.

“Gran­de gio­co” — The Great Game — è espres­sio­ne conia­ta nel 1829 da un uffi­cia­le del­l’e­ser­ci­to bri­tan­ni­co, per par­la­re del con­flit­to, fat­to essen­zial­men­te di mos­se e con­tro­mos­se di diplo­ma­zie, spie e ser­vi­zi segre­ti, che nel cor­so di tut­to il XIX seco­lo con­trap­po­se Regno Uni­to e Rus­sia sul­la scac­chie­ra del Medio Orien­te e dell’Asia cen­tra­le. A ren­de­re popo­la­re l’espressione fu però nel 1901 Rudyard Kipling con il suo tan­to appas­sio­nan­te quan­to deli­ca­to roman­zo Kim, let­tu­ra da non rele­ga­re agli anni gio­va­ni­li. In que­ste pagi­ne, den­se di poe­sia, il ragaz­zi­no, mez­zo irlan­de­se e mez­zo india­no, data la sua intel­li­gen­za, le sue ami­ci­zie e la fami­lia­ri­tà con il mon­do asia­ti­co che lo ha adot­ta­to, fini­sce con il rive­sti­re un ruo­lo signi­fi­ca­ti­vo negli intri­ghi del secon­do con­flit­to anglo-afgha­no, riu­scen­do a impos­ses­sar­si di map­pe e docu­men­ti rus­si che con­ten­go­no i pia­ni per demo­li­re il con­trol­lo bri­tan­ni­co del­la regione.

Nell’ultimo ven­ten­nio, l’espressione è facil­men­te e feli­ce­men­te tor­na­ta in voga, arric­chi­ta dall’aggettivo nuo­vo — Nuo­vo Gran­de Gio­co — per indi­ca­re le mano­vre degli Sta­ti Uni­ti, degni e altret­tan­to ten­ta­co­la­ri suc­ces­so­ri degli Ingle­si, e la Rus­sia per il con­trol­lo del­l’A­sia cen­tra­le, dal­le repub­bli­che del­l’ex Unio­ne sovie­ti­ca fino all’Afghanistan e al Pakistan.

Il viag­gio in Arme­nia da una par­te, dun­que, e la rilet­tu­ra di Kim dall’altra mi por­ta­no a con­si­de­ra­re ama­ra­men­te, una vol­ta di più, quan­to vasto sia il cam­po da gio­co del­la geo­po­li­ti­ca, quan­to com­pli­ca­ti sia­no i suoi mec­ca­ni­smi, quan­to anti­che e, muta­tis mutan­dis, immu­ta­te le sue rego­le, se di rego­le si può par­la­re; quan­to meschi­ni, uno per l’altro, i suoi pro­ta­go­ni­sti, nes­su­no esclu­so, quan­to vacua la posta in gio­co e quan­to mise­ro sia, infi­ne, il ruo­lo di noi spet­ta­to­ri che, dagli spal­ti del­la nostra sem­pli­ce quo­ti­dia­ni­tà, più o meno lon­ta­na dagli scon­tri, osser­via­mo, ci schie­ria­mo super­fi­cial­men­te e gros­so­la­na­men­te da una par­te o dall’altra e, cer­ta­men­te, paghia­mo un sala­tis­si­mo bigliet­to per assi­ste­re iner­mi allo spet­ta­co­lo bru­ta­le. Nel miglio­re dei casi, leg­gia­mo e cer­chia­mo di capi­re in modo auten­ti­co e sce­vro da pre­giu­di­zi e luo­ghi comu­ni le ragio­ni dell’agire, gene­ral­men­te ci bevia­mo super­fi­cial­men­te quan­to ripor­ta­no, a loro pia­ci­men­to, i media del momento. 

Ad ascol­ta­re la nostra col­ta, appas­sio­na­ta e luci­da gui­da, la ter­ra arme­na ine­so­ra­bil­men­te ver­rà ero­sa in ogni sua par­te dall’avanzare del­la poten­za tur­ca: l’autoproclamatasi repub­bli­ca dell’Artsakh – par­te di quell’osso, di quel lem­bo di ter­ra meri­dio­na­le – a noi più nota come Nagor­no Kara­ba­kh, nome dona­to alla regio­ne da Sta­lin, da ini­zio mil­len­nio e fino a que­sti ulti­mis­si­mi gior­ni esti­vi del 2023 è tea­tro di scon­tri con­ti­nui e vio­len­tis­si­mi: buo­na par­te del ter­ri­to­rio è ormai sot­to con­trol­lo del­l’A­zer­bai­gian: gli Arme­ni sono i nemi­ci giu­ra­ti degli Aze­ri (“potrei con­di­vi­de­re una stan­za con una ragaz­za tur­ca – ci ha det­to la nostra gui­da – ma mai e poi mai con una ragaz­za aze­ra!”). Con­qui­ste mili­ta­ri, accor­di, scam­bi, pro­mes­se: di fat­to, la repub­bli­ca di Arts­a­kh è ormai inte­ra­men­te cir­con­da­ta dal­l’A­zer­bai­gian e, a quan­to sem­bra, desti­na­ta a soc­com­ber­gli. Ma cos’è mai l’Azerbaigian nel­la sfe­ra rotan­te del mon­do? Dav­ve­ro può tan­to? “Quan­do dicia­mo Aze­ri, inten­dia­mo Tur­chi” – pro­se­gue la gui­da – “e quan­do dicia­mo Tur­chi…?” pen­so subi­to io. 

«Il Gio­co è così vasto – spie­ga Mah­bub a Kim – che non si rie­sce ad abbrac­ciar­ne in una vol­ta sola se non una pic­co­lis­si­ma parte».

Chiu­sa ostil­men­te a est e a ove­st, l’Armenia con­fi­na a nord con la Geor­gia e a sud con un pez­zet­to dell’“amico” Iran, nemi­co acer­ri­mo di Tur­chi e Ame­ri­ca­ni. Natu­ral­men­te poi c’è sem­pre la gran­de madre Rus­sia, attual­men­te in altre fac­cen­de affac­cen­da­ta, però…

Tut­ta una colos­sa­le pol­ve­rie­ra, un ter­ri­to­rio for­te­men­te inte­res­sa­to e coin­vol­to nel pro­get­to del­la Nuo­va via del­la seta che, con i suoi divo­ran­ti inte­res­si, avan­za deci­sa dal­la Cina ver­so l’Europa e inten­de pas­sa­re di qua, non di là, coin­vol­ge­re que­sti, esclu­de­re quel­li… Innu­me­re­vo­li gio­va­ni vite sacri­fi­ca­te, vil­lag­gi affa­ma­ti, miliar­di inve­sti­ti mala­men­te in arma­men­ti, eco­si­ste­mi mera­vi­glio­si distrut­ti in modo irre­ver­si­bi­le, ine­sti­ma­bi­li teso­ri cul­tu­ra­li bar­ba­ra­men­te e cie­ca­men­te rasi al suo­lo: sem­pre così, sem­pre lo stes­so maca­bro eser­ci­zio di pote­re e sopraf­fa­zio­ne, di fron­te al qua­le noi, pic­co­li ita­lia­ni, ce ne uscia­mo con un inge­nuo, ma sin­ce­ro e acco­ra­to: ma basta! Basta! Ma non si può dav­ve­ro con­vi­ve­re rispet­to­sa­men­te e civil­men­te? Non sia­mo solo naif: ci sono riu­sci­ti mol­ti popo­li, in mol­te epo­che e in mol­te par­ti del pia­ne­ta. La nostra ester­na­zio­ne vie­ne com­pren­si­bil­men­te liqui­da­ta in un secon­do: faci­le per voi che da ottant’anni non ospi­ta­te una guer­ra e non ave­te paren­ti mor­ti in bat­ta­glia. Vero. 

In Pic­cio­let­ta bar­ca, ci dedi­chia­mo con pas­sio­ne alla geo­po­li­ti­ca: più vol­te all’anno, pre­sen­tia­mo ai ragaz­zi le situa­zio­ni arro­ven­ta­te del pla­ni­sfe­ro e abbia­mo spes­so la for­tu­na di far­lo gui­da­ti da ami­ci stra­nie­ri che vivo­no in pri­ma per­so­na il dolo­re del con­flit­to: abbia­mo ascol­ta­to, negli anni, un ragaz­zo del Sene­gal arri­va­to in Ita­lia su un bar­co­ne, una gio­va­ne don­na arme­na che ci ha rac­con­ta­to la guer­ra del Nagor­no Kara­ba­kh in diret­ta, una cop­pia con il mari­to rus­so e la moglie ucrai­na, due ragaz­zi siria­ni, una stu­den­tes­sa iraniana… 

Il nostro pro­po­si­to è abi­tua­re i ragaz­zi a inte­res­sar­si, a stu­dia­re, a cer­ca­re sem­pre fon­ti auto­re­vo­li e auten­ti­che, di una par­te e dell’altra, a non ingo­ia­re pas­si­va­men­te il vele­no som­mi­ni­stra­to dai mass media.

Sia­mo ben con­sa­pe­vo­li che il Gran­de Gio­co non fini­rà mai, ma con altret­tan­ta cer­tez­za affer­mia­mo che c’è e sem­pre ci sarà il pic­co­lo gio­co quo­ti­dia­no, in cui cia­scu­no di noi è re o regi­na, impor­tan­te e inso­sti­tui­bi­le. È il pic­co­lo gio­co di ogni uomo, solo appa­ren­te­men­te insi­gni­fi­can­te e invi­si­bi­le, quel­lo che man­da avan­ti il mon­do! Come Anna Frank, “nono­stan­te tut­to, con­ti­nuia­mo a cre­de­re nell’intima bon­tà dell’uomo”.

Guar­da­re il mon­do con luci­di­tà e con­sa­pe­vo­lez­za, stu­dia­re e cono­sce­re, accet­ta­re sen­za abbat­ter­si che cer­te sue logi­che sono bru­ta­li, cer­te fami insa­zia­bi­li, cer­te men­ti distor­te e imper­scru­ta­bi­li, ma vive­re con la cer­tez­za asso­lu­ta che la stra­gran­de mag­gio­ran­za dell’umanità è com­po­sta da pedi­ne instan­ca­bi­li del pic­co­lo gio­co, alfie­ri di valo­ri fon­da­men­ta­li: ognu­no di noi può e deve fare la sua par­te, muo­ven­do­si nel­la ristret­ta scac­chie­ra del­le sue gior­na­te con mos­se di rispet­to, tol­le­ran­za, bene­vo­len­za, in ogni dire­zio­ne, soprat­tut­to in profondità. 

Sem­bra che, in que­sto tri­ste tem­po, i bam­bi­ni aze­ri, a par­ti­re dagli anni del­la scuo­la pri­ma­ria, ven­ga­no meto­di­ca­men­te istrui­ti a odia­re gli Arme­ni e a impu­gna­re armi con­tro gli usur­pa­to­ri; i ragaz­zi del­la Pic­cio­let­ta bar­ca meto­di­ca­men­te ven­go­no invi­ta­ti a rispet­ta­re tut­te le per­so­ne di buo­na volon­tà e a impu­gna­re libri. Alla Scuo­la di Pace, duran­te l’ultima vacan­za, han­no impa­ra­to che l’eccidio di Mar­za­bot­to non è sta­to ope­ra di Tede­schi con­tro Ita­lia­ni, ben­sì di nazi-fasci­sti con­tro civi­li iner­mi. Per­ché il male non coin­ci­de mai con un popolo.

I pove­ri bam­bi­ni aze­ri, a loro insa­pu­ta, fini­ran­no sul­lo scon­fi­na­to tabel­lo­ne del Gran­de Gio­co e semi­ne­ran­no distru­zio­ne; i ragaz­zi del­la Pic­cio­let­ta Bar­ca – per que­sto, alme­no, ci impe­gnia­mo tan­to e que­sto ci augu­ria­mo – gio­che­ran­no con­sa­pe­vol­men­te i loro pic­co­li gio­chi e, come il pic­co­lo gran­de Kim, ognu­no di loro ver­rà chia­ma­to “Ami­co di tut­to il Mondo”. 


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