
LE PAROLE SONO IMPORTANTI

E IL NOME DI MIO FIGLIO?
“SE VA AVANTI COSì…”: DALL’UTOPIA ALLA DISTOPIA

Neil Gaiman, scrittore e giornalista britannico, introduce con alcune preziose pagine l’edizione italiana di Farenheit 451, il capolavoro scritto da Ray Bradbury nel 1953, che leggeremo con i ragazzi. «Esistono tre presupposti che rendono possibile scrivere del non-ancora e questi presupposti si esprimono con tre semplici frasi: e se…? Se solo… e Se va avanti così…». Questi tre presupposti non sono solo alla base della letteratura fantascientifica, ma della vita stessa, ogni volta che ci interroghiamo sul futuro, individuale o universale.
«E se…» punta al cambiamento, alla novità positiva o negativa, di compimento o di rovina; è la domanda della fantasia, della paura e della speranza, di un avvenire che non è nelle nostre mani; ci interpella, può metterci in moto o paralizzarci.
«Se solo…» ha un’intonazione invincibilmente nostalgica, malinconica, come di un’occasione persa, di qualcosa che forse non arriverà mai o non tornerà più, di fronte alla quale, però, ci è permesso di sognare, come fanno i bambini quando giocano a facciamo che io ero…
«Se va avanti così…», invece, è la riflessione amara dell’uomo adulto, che ha compreso il male del suo tempo e ne paventa l’evoluzione; da questa consapevolezza può generarsi una resa e un disincanto, ma può anche sorgere una volontà profonda di rivolta e di resistenza, perché ciò che temiamo possa non avvenire.
È sul filo di questa domanda che passiamo, con i ragazzi, dall’utopia alla distopia che, della prima, è la filiazione negativa. Nel 1953, mentre la società a lui contemporanea abbandonava lentamente la radio per appassionarsi alla televisione, la preoccupazione di Bradbury fu questa: nel giro di settant’anni — colpisce pensare che il racconto si svolga proprio nei nostri anni — nessuno più leggerà un libro. Settant’anni dopo i social hanno soppiantato la televisione e il timore rimane il medesimo. Il fatto che, nonostante tutto, ancora — almeno un po’ — gli uomini leggano, ci dimostra che il compito di questi scritti e delle loro domande non è prevedere il futuro, ma costruire una resistenza ai pericoli del presente. Proprio come per Utopia di More e come per la Città di Dio di Agostino, in gioco è sempre la contemporaneità: attraverso la finzione si dice il vero.
I libri sono i grandi protagonisti di Farenheit 451: quegli stessi attraverso i quali ogni sabato parliamo ai nostri ragazzi, la materia prima di qualunque navigazione della Piccioletta Barca. E se va avanti così… è la quotidiana tempesta che ci agita: se va avanti così… gli uomini non sapranno più leggere, scrivere, non avranno spirito critico, né cuore, né umanità. Non si tratta di trovare il capro espiatorio nell’ultima tecnologia e di concentrare su di essa gli strali del dibattito familiare e pubblico (lo si è fatto sempre: per la stampa, il sonoro nel cinema, la radio, la televisione, i cellulari). Si tratta, invece, di generare cultura e continuare a proporla con coraggio alle nuove generazioni.
Certo, siamo tutti sollevati, oggi, nello scoprire che la profezia di Bradbury non si è ancora compiuta, ma ciò non significa che egli non avesse ragione. Anzi, ci piace pensare che proprio il suo romanzo, insieme a molti altri, abbia costruito un argine al disastro sempre possibile, sempre incombente e, forse, solamente rimandato. Per questo motivo lo leggeremo con i nostri ragazzi, convinti che la bellezza e la bontà della cultura siano proprio come i libri del romanzo: la pagina può anche consumarsi nel fuoco, purché le parole, in fine, si imprimano nella mente e nel cuore. Come disse Bradbury nel 2012, poco prima di morire, parlando dei libri elettronici: «non importa la copertina, alcuni libri vivono sotto copertine a forma di uomo».