
ANCHE LA GUERRA HA LE SUE LEGGI

IL TEMPO
IL TRIBUNALE DELLA PROPRIA COSCIENZA

Più volte nel corso del romanzo, Jean Valjean, che del romanzo è il gigantesco protagonista, si sottopone a un processo interiore, ricoprendo il ruolo di pubblico ministero, avvocato difensore e giudice.
Misero potatore di alberi a Faverolles, è condannato a cinque anni di carcere per avere rubato del pane, infrangendo il vetro di una bottega: il pane era per i figli della sorella vedova, per i suoi poveri sette nipotini. Furto notturno con scasso in casa abitata: Valjean perde la sua identità e diventa un numero, il 24601.
Per i suoi reiterati arditi tentativi di fuga, gli anni di carcere diventano via via diciannove.
Si costituì tribunale. Cominciò col giudicare se stesso. Riconobbe di non essere un innocente ingiustamente condannato. Confessò a se stesso di aver compiuto un’azione estrema e biasimevole; che forse quel pane non gli sarebbe stato negato, se l’avesse chiesto; che in ogni caso sarebbe stato meglio aspettarselo sia dalla pietà, sia dal lavoro; che non è una ragione inappellabile affermare: si può forse aspettare quando si ha fame? (…)che ci voleva pazienza, dunque, perché così sarebbe stato meglio per quei piccini, (…) che era una gesto di pazzia (…) che in ogni caso era una brutta porta per uscire dalla miseria, quella per cui si entra nell’infamia. (…). Ma poi si chiese: era il solo che avesse avuto torto nella sua fatale storia? (…) Si rivolse la domanda se codesta pena non finisse per essere una specie di sopruso del più forte sul più debole, un reato della società sull’individuo.
Quanto Beccaria in queste riflessioni del tribunale privato di Valjean!
Uscito dal carcere, ricco soltanto del passaporto giallo di ex galeotto, poco utile a spalancargli le porte di una nuova vita e un impiego dignitosi, Valjean fa il suo ingresso nel romanzo e nell’umile casa di Monsignor Myriel. Il vescovo lo accoglie alla sua tavola con le posate d’argento e nella camera degli ospiti conle lenzuola immacolate; gli parla, tocca le sue mani grandi e callose e tocca la sua anima per sempre. Quando infatti, fuggito dalla canonica con le preziose posate, Jean Valjean vi viene nuovamente trascinato in manette dai gendarmi che interrompono la sua ennesima fuga, ecco che Myriel congeda gli agenti, affermando di avere personalmente donato l’argenteria all’uomo, al quale rimprovera candidamente di avere dimenticato i due candelabri. Quei candelabri illumineranno la vita di Jean Valjean fino al suo ultimo respiro.
L’anima dell’ex galeotto è conquistata a Dio e al Bene per sempre, in virtù della legge della misericordia e della carità.
Jean Valjean scompare e, voltata pagina, nella piccola cittadina diMontreuil sur Mer ricompare nelle vesti di Monsieur Madeleine: cinquant’anni, buono e pensieroso, l’ex forzato conduce ora una prospera attività nel paesino di cui diventa addirittura sindaco; è stimato e benvoluto per la sua generosità, per le sue capacità, per il suo profondo senso di giustizia.
Ai ragazzi, questa trasformazione ricorda un po’ quella di Martin Eden: se il marinaio era stato modificato dall’amore per una donna, Valjean muta per l’amore di Dio.
Ma il suo torbido passato non lo abbandona, ed ecco che su di lui si concentrano i sospetti del terzo grande personaggio della nostra storia, l’Ispettore Javert, cui dedicheremo un capitolo a parte della nostra riflessione.
Javert, che era stato carceriere di Valjean nel carcere di Tolone, subodora che dietro al buon papà Madeleine si celi il forzato, cui da anni egli dà ancora la caccia. E caso vuole – o meglio, finzione letteraria vuole – che finisca a fare servizio nello stesso paesino di cui Madeleine, alias Valjean, è diventato sindaco.
Un giorno Javert si presenta al sindaco e gli confessa di avere dubitato di lui, di essere colpevole e di meritare pertanto la destituzione dal suo incarico: il vero Jean Valjean è stato preso ed è ora condannato, a diverse miglia di distanza da là. Rimasto solo, Valjean-Madeleine, dopo aver confermato il gendarme nella sua carica, per la seconda volta è chiamato alla sbarra della sua coscienza: che fare? E di nuovo oscilla fra la condanna e la assoluzione, almeno parziale, per poi condannarsi di nuovo e decidere di andare a confessare la sua vera identità.
Il capitolo che descrive il secondo grande processo interiore del protagonista si intitola nientemeno che “Una tempesta in un cranio”: è giusto che egli corra a costituirsi per evitare che un innocente paghi al suo posto, ma, quest’atto di giustizia, portando beneficio a uno solo, recherebbe danno a molti: sono infatti tante le persone che ora stanno beneficiando dell’opera e della generosità di Madeleine, e poi c’è la promessa fatta alla povera operaia morente di occuparsi della sua bambina Cosette…
Lasciando condannare un innocente al posto suo, Valjean chiuderebbe per sempre la porta del suo passato, potendo dedicare il resto della sua vita al bene del prossimo, come già stava facendo. Ma,
non si può impedire al pensiero di tornare a un’idea, più di quanto non si possa impedire al mare di tornare a una sponda. Per il marinaio, questa faccenda si chiama marea, per il colpevole si chiama rimorso.
E così Valjean continua a interrogarsi, a oscillare fra due risoluzioni che con eguale forza lo trascinano a sé e che sembrano pesare di un uguale peso sui piatti della sua bilancia interiore:
Vedeva pure come se gli si muovessero davanti con forme sensibili, le due idee che erano state fino ad allora la duplice regola della sua vita: nascondere il suo nome e santificare la sua anima; per la prima volta scorgeva la differenza che le separava. Riconosceva che una di queste idee era necessariamente buona, laddove l’altra poteva diventare cattiva; che una diceva il prossimo e l’altra diceva io; che una proveniva dalla luce e l’altra dalle tenebre.
Al termine di questa lunga e faticosa requisitoria, Valjean condanna Madeleine: l’ex galeotto si alza e decide di andare ad autodenunciarsi e salvare l’innocente catturato e condannato al suo posto.
Riuscirà poi, ancora per i fortunati meccanismi della finzione letteraria, a sottrarsi nuovamente alla prigione, a modificare la sua identità — non più Madeleine ma Fauchelevant -, e a trovare rifugio presso un uomo da lui beneficato: le spirali di bene e di male, innescate all’inizio del romanzo, non si fermano e l’intricatavicenda prosegue. Altre volte Valjean si troverà costretto a prendere velocemente decisioni complesse per salvare la vita di chi ama, mettendo a rischio la propria. E ogni volta Hugo ricorrerà a questo topos del processo interiore, per cui vera protagonista dell’esistenza umana è sempre e solo la legge della propria coscienza.
(continua)