
IL BARDO E LE SUE RI-SCRITTURE

LA CLEMENZA NON PUÒ ESSERE FORZATA
EPPURE LE STELLE NON SI SONO PERSE: LETTURA DI UNA GRAPHIC NOVEL

Che tormento, quella notte. Omar avrebbe la possibilità di andare a scuola, ma non sa cosa fare. C’è Hassan, il suo fratellino che non è in grado di parlare e ha le crisi epliettiche, del quale prendersi cura, ma Salan, il leader di comunità del campo dei rifugiati, gli aveva detto “Tu hai un dono Omar, sei intelligente. E quando Dio ti fa un dono, è tuo dovere usarlo.” Omar è preoccupato, agitato: chi si prenderà cura di suo fratello, mentre lui sarà a scuola? Un pensiero, però, gli grida forte dentro: “La verità è che io voglio andare a scuola. Lo voglio così tanto da stare male.”
Omar e Hassan sono i protagonisti di “Come stelle nel cielo”, graphic novel di Victoria Jamieson e Omar Mohamed, edizioni Il Castoro, basata su una storia vera.
Sono passati sette anni, da quando Omar, che ne aveva appena quattro, è stato costretto a scappare dalla Somalia, dove la guerra civile ha travolto la sua casa, la sua famiglia, la sua vita. Con il fratellino Hassan, ha trovato asilo in Kenya nel campo per rifugiati chiamato Dadaab.
Dal 1991, il più grande campo per rifugiati del Kenya (ha una superficie di 50 km²), ospita bambini, donne, uomini fuggiti dalla guerra, dalla povertà, dalla crisi climatica somale. Molti di loro ci hanno passato dentro la vita. Una vita di attesa. L’attesa di un ritorno alla terra natale. L’attesa di qualcosa che possa cambiare tutto, come il reinsediamento in qualche grande Paese occidentale, dove proiettare l’illusione di una vita migliore. Una vita, per i più, in attesa del nulla.
Omar, però, incontra la scuola.
Sgangherata, caotica, con maestri più coinvolgenti e altri più distaccati, drasticamente selettiva (prosegue gli studi solo chi eccelle negli esami finali di ogni ciclo di studio, scuola primaria e medie), la scuola è il luogo in cui i ragazzi senza casa, a volte senza famiglia — come Omar e Hassan che nella guerra hanno perso il padre e non hanno più notizie della madre — scoprono di aver in sé un bene prezioso: la curiosità e la voglia di imparare.
La scuola è il luogo che sigilla le amicizie. Omar studia con Jeri, l’amico del cuore, il ragazzino con la zoppìa, che gli insegna che ogni persona è ben più del suo limite, come Hassan che non parla, ha un apprendimento più lento, ma sa entrare in contato con tutti ed è felice di rendersi utile nelle cose quotidiane, come la cura delle capre. Il desiderio di Jeri è di poter andare in America e continuare a studiare. Tra i banchi, ci sono anche Nimo e Maryam, due ragazze dalla mente aperta, che sognano di liberare le loro vite grazie allo studio, quando finalmente saranno reinsediate in Canada, dove insieme, amiche che si sostengono, si laureeranno e a quel punto, aiuteranno altre ragazze come loro a studiare e prendere in mano la vita. Omar non immagina nemmeno che possa esistere un mondo oltre la nostalgia della Somalia, eppure piano piano anche in lui cresce il desiderio di non pensarsi solo lì, nei confini imprigionanti del campo, di immaginare che il suo studiare sarà utile ad altri ragazzi come lui.
Le loro vite cambieranno, ma non tutti potranno realizzare il proprio sogno.
Mia sorella ha letto questa storia insieme ai suo figli che stanno frequentando la quarta elementare; di fronte al forte richiamo della scuola per Omar, mio nipote è rimasto interdetto e quasi a mezza voce ha detto: “ma perché io non lo sento così?”. Ho come l’impressione che tanti studenti, di ogni fascia di età, si farebbero la stessa domanda, come se qui, in questa parte fortunata del mondo, la scuola avesse perso la sua bruciante urgenza.
Verrebbe da pensare che quella sensazione potente sia possibile solo nei luoghi in cui lo studio costituisce una possibilità di riscatto, ma non è esattamente così.
L’invito che viene fatto a Omar per iniziare ad andare a scuola non contiene promesse di riscatto e il suo riscatto non passerà direttamente dalla scuola, ma tocca qualcosa di più profondo e sostanziale che è il prepararsi alla vita, quale che sia, farsi capienti, aprirsi alla conoscenza per meglio comprendere la realtà, coltivare la consapevolezza. E usare la mente anche per stare e superare le difficoltà. A un certo punto, anche Omar viene raggiunto dalla possibilità di una nuova destinazione in America, per iniziare una vita libera, ma questa possibilità sembra essere, poi, risucchiata dal tempo, una attesa che non ha fine e Omar, allora, si impegna ancora di più a scuola per tenere la mente occupata, per non disperarsi dietro prospettive sempre più illusorie, ma continuare a prendersi cura della vita, del pensiero, di una mente, quella, sì, libera sempre.
Nel nostro mondo privilegiato, studiare non è solo un’opportunità, è un diritto, sancito dalla legge nella forma della scuola dell’obbligo. I ragazzi dell’Accademia del nostro centro di cultura, che quest’anno stanno riflettendo proprio sulla parola “legge”, potrebbero ben spiegare che esiste la legge e al suo fianco, lo spirito della legge. La legge aiuta, favorisce le relazioni, apre le possibilità tutela i diritti, ma agisce davvero se si mantiene viva la fiamma dello spirito della legge, se è condiviso il pensiero che quello che c’è nella legge ci riguarda tutti, ancora di più se si tratta di scuola. E a chi tocca tenere acceso quel fuoco?
Ancora una volta, è chiamato in causa ii mondo adulto.
Nei suoi diciassette anni a Dadaab, Omar incontra Fatuma, la donna che accoglie lui e Hassan come figli e che, senza mai avere studiato, lo spinge ad andare a scuola; incontra Salan, che riconosce in Omar la luce dell’intelligenza; incontra Susana Martinez, rappresentante dell’UNHCR, che fa sentire Omar visto e si prende a cuore la vicenda dei due fratelli; incontra insegnanti appassionati del loro mestiere. Tutto quel mondo adulto contribuisce a far crescere in Omar l’idea che studiare sia prendersi cura dell’umano.
Anche qui, noi, come mondo adulto, riusciamo a fare sentire questo ai bambini, ai ragazzi? A far capire che la scuola è impegno, ma è anche il luogo della libertà massima, dell’esplorazione della conoscenza, della costruzione di persone che saranno capaci di stare nel mondo e nella vita con spirito critico e responsabilità? In PIccioletta Barca e nella comunità che attorno alla cultura si sta creando ci impegniamo per tenere vivo uno spazio dove i ragazzi possano davvero sentire questo.
Omar è riuscito, poi, a laurearsi e a diventare assistente per l’accoglienza dei rifugiati, ha fondato il progetto “Rfugee Strong”, che si occupa dei rifugiati a Dadaab. Studiare è anche restituzione. A volte, potentissima.
Nell’ultimo incontro di Accademia, Roberto Maier ha parlato ai ragazzi di Leymah Gbowee, pacifista liberiana, Premio Nobel per la Pace 2011 per l’impegno per la lotta non violenta e per i diritti delle donne, ospite all’ultima inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica di Milano. Roberto ha fatto ascoltare uno spezzone dell’intervento di Leymah Gbowee al Ted Talk in California a marzo del 2012. Tra i ragazzi è sceso un silenzio attento e vibrante nell’ascoltare la storia di una donna che ha studiato e si è impegnata per un Paese libero, dove le altre donne possano studiare, possano dare forma ai loro desideri, possano vedere riconosciuto il loro impegno.
E allora, forse, davvero bisogna raccontare le vite o fare della proprio vita un modo per raccontarne altre. Alla partenza di Omar e Hassan, la loro amica Maryam, giovane donna piena di pensiero costretta a restare nel campo, consegna loro una sua poesia che si conclude “Sii una stella. Fa’ risplendere la tua luce. Fa’ brillare la tua storia. Perché le storie ci indicheranno la via.”