
ABITI E ABITUDINI
UN MONDO A PARTE? FORSE, NO.

Ci sono gli appassionati dei cinepanettoni natalizi, quelli che aspettano i tormentoni estivi e poi ci sono io che, quale che sia il periodo dell’anno, inciampo in film che parlano di scuola e resto lì a guardarli, pensando, ogni volta, ai nostri piccoli soci.
Questa volta, il racconto mi porta nel Parco Nazionale dell’Abruzzo, tra boschi e cime che non conosco e che da tanto mi ripropongo di vedere. È la storia di una piccola comunità di montagna che rischia di scomparire insieme alla sua scuola, l’unico presidio capace di tenere unite le persone e dare un futuro ai bambini che la abitano. Il film è “Un mondo a parte” di Riccardo Milani.
La trama è semplice. Un maestro (Antonio Albanese) lascia la “giungla “ scolastica di Roma per farsi trasferire in un paese isolato, dove la scuola elementare — un’unica pluriclasse con bambini dai sette ai dieci anni — sopravvive a fatica per mancanza di iscrizioni. Se la scuola chiude, il paese muore: le famiglie se ne vanno, la comunità si dissolve. Attorno a questo rischio si muovono i personaggi del film, tra cui la maestra interpretata da Virginia Raffaele e Duilio, giovane agricoltore che lotta per restare in un territorio aspro e poco promettente.
Il racconto procede per scorciatoie retoriche evidenti (il maestro topo di città che non sa accendere una stufa a legna e, semplicemente cambiando i mocassini con gli scarponi, si integra nello stile di vita tra i monti meglio di un autoctono; i cattivi un po’ macchiette; l’immancabile e un po’ tirata storia d’amore) e con un sentimentalismo ingenuo che spesso semplifica i conflitti, proponendo soluzioni narrative più consolatorie che realistiche. Eppure, dentro questa semplificazione, individua alcune cose vere.
Se la famiglia è comunemente riconosciuta come la cellula fondamentale della società, la scuola è la molecola che unisce quelle cellule rendendone possibile le funzioni e lo sviluppo, non è solo un luogo di trasmissione di saperi, ma di formazione ad ampio respiro. È un compito prezioso e irrinunciabile, nel quale non deve sentirsi sola. Ecco, allora, che realtà come la Piccioletta Barca diventano alleati preziosi, allargando oltre il confine della scuola lo spazio di semina della cultura, perché è nel coltivare la curiosità di imparare, domandare, scoprire che il pensiero si forma, impara a leggere la realtà complessa, ad abitarla con spirito critico, e diventa capace di orientare l’azione individuale e collettiva.
La cultura è una sorgente viva ed è fondamentale scoprirlo fin da piccoli. Lo insegna la scuola, ma anche esperienze come il nostro “Salottino”, dove i bimbi di prima e seconda elementare sperimentano il primo piacere del pensare e dell’imparare confrontandosi su favole e racconti.
Nel film, la comunità individua chiaramente nella scuola il proprio nucleo vitale. La possibilità della sua chiusura coincide con la fine della comunità stessa. Anche se la risposta narrativa proposta si appiattisce su un sentimentalismo che riduce la realtà a un gioco delle parti, il film mette a fuoco un punto essenziale: la sopravvivenza della scuola dipende dall’adesione del mondo adulto.
I giovani possono crescere solo se trovano adulti che, per primi, credono nella cultura, mettendola al centro di una visione condivisa di di comunità. Non basta chiedere ai ragazzi di impegnarsi, di studiare, di “resistere”: serve che gli adulti testimonino con la propria vita che la cultura è una cosa seria, necessaria, generativa.
È esattamente ciò che accade in Piccioletta Barca. Qui, si raccolgono ragazzi e famiglie, ma soprattutto adulti che mettono a disposizione la propria formazione per far crescere i ragazzi, e altri adulti — i genitori — che chiedono di poter condividere con i figli questo percorso di crescita. La cultura è il cuore del progetto educativo: il dialogo con i grandi della letteratura e delle arti, il confronto sulle domande di senso, l’attenzione alla parola come strumento di pensiero e relazione
In questa prospettiva, nasce ed è attiva da due anni l’Accademia dei Grandi. È un percorso pensato per gli adulti, che possono condividere con i figli il cammino culturale.
Durante gli incontri, i genitori dialogano e si confrontano con Beatrice Gatteschi e Robero Maier, ripercorrendo il percorso di incontro con le opere e gli autori che i ragazzi hanno affrontato nell’anno precedente. Non si tratta di replicare l’esperienza dei figli, ma di creare un terreno comune, in cui adulti e giovani possano riconoscersi dentro le stesse domande.
Questa condivisione è fondamentale per costruire una comunità educativa solida, in cui la cultura diventa un linguaggio condiviso e un modo di guardare il mondo.
In Accademia, ai ragazzi viene detto che la cultura non è ostentazione di sapere ma un modo di stare nella vita, qualunque scelta si faccia nel crescere. Nel film, incontriamo Duilio, giovane agricoltore che potrebbe abbandonare la propria terra perché “così si fa”, come gli è stato trasmesso da chi ha lasciato spazio alla resa. Invece, sceglie di restare. Questa possibilità nasce da un incontro educativo: a scuola ha incontrato maestri che gli hanno mostrato che la rassegnazione non è l’unica via possibile. Anche quando non viene nominata esplicitamente, la cultura agisce come forza trasformativa: offre parole nuove, apre possibilità, rende immaginabili scelte diverse.
Forse “Un mondo a parte” non è una pellicola imperdibile, ma pone una domanda decisiva: chi si prende cura della scuola, della cultura, dei luoghi in cui si forma il pensiero?
Alla Piccioletta Barca, questa domanda ha già una risposta concreta, fatta di volti, di tempo donato, di progetti culturali e di alleanze educative. E da qui, crediamo, ogni comunità, piccola o grande, può davvero ricominciare.
