
MA IL RE È NUDO!

ABITI E ABITUDINI
MATILDE SERAO

Un filo unisce la terza grande scrittrice della nostra rubrica alle due che l’hanno preceduta: con un nodo più ufficiale e uno del tutto personale. A Jessie White, la lega l’epoca e soprattutto il profondo amore per Napoli, città in cui crebbe e alla quale dedicò pagine intense e fondamentali per conoscerne la vera anima. A Inge Feltrinelli, così come ci è stata introdotta da Silvia, la lega l’intitolazione di una via: è la via di Milano in cui sono nata e cresciuta.
Poiché la mia casa era quella d’angolo, sull’estremità della facciata si stagliava la bella targa bianca incisa con caratteri quadrati: VIA MATILDE SERAO e sotto, in piccolo, Scrittrice 1856–1927. Una piccola via, fatta solo dei numeri dispari, dall’uno al sette, perché l’altro lato della strada è occupato dal fianco di una chiesa. Una via tranquilla, dove da piccoli giocavamo per strada con l’elastico e la corda e correvamo con i pattini a rotelle. Una via che fa angolo con via Pirandello, meravigliosa compagnia!
A me, che già mi chiamavo Beatrice e, ancora bambina, avevo scoperto la portata letteraria del mio nome, vivere in una via intitolata a una scrittrice dava una grande soddisfazione! Peccato però che tutte le volte che, alla richiesta del mio indirizzo — anche grandicella, anche proprio grande! -, proclamavo con fierezza il nome di Matilde Serao, nessuno mai la conoscesse! Ma come? La fondatrice e la prima direttrice di un quotidiano in Italia! Come non conoscerla? Solo la mia compagna di università Valentina, alla prima visita a casa mia, sapeva chi fosse e questo fu per me motivo di stupore ed elemento di stima e simpatia sul quale si è poi costruita un’amicizia incrollabile.
Matilde nasce in Grecia, a Patrasso, dove il padre, avvocato e giornalista, era in esilio, perché antiborbonico; la famiglia rientra a Napoli dopo l’Unità d’Italia e a Napoli la ragazza studia e, giovane, trova un impiego presso l’azienda dei Telegrafi dello Stato, grazie al quale contribuisce alla misera economia familiare. Ma sempre più potente cresce in lei il desiderio o, meglio, il bisogno di scrivere.
Racconta lei stessa che, appena aveva cinque minuti di libertà, ne approfittava per buttare giù qualche articolo che, grazie ai suoi modi decisi e un po’ sornioni, riusciva a fare pubblicare, potendosi così permettere, a fine mese, di spalmare un po’ di marmellata sul pane nero e di annodarsi un nastrino rosso al collo. Diventa allora la Chiquita del Capitan Fracassa, un quotidiano romano, dove la Serao si occupa, con uguale estro e disinvolta padronanza, di cronaca rosa, politica, moda, critica letteraria. Collabora a distanza con diversi quotidiani e, in presenza, con Il Mattino di Napoli e, nel frattempo comincia la sua produzione di novelle. Una mattina del 1881 di fronte ai colleghi, tutti rigorosamente uomini, sbalorditi e increduli annuncia che partirà alla conquista della capitale. Ma a fare cosa? le chiedono con un pizzico di risentimento: «a scrivere! Scrivere sempre! Scrivere è il mio mestiere, il mio destino, scrivere fino alla morte!»
A venticinque anni, Matilde firma per la prima volta un editoriale, avvenimento inedito nella storia del giornalismo italiano. Il suo carattere solare, aperto, curioso la porta a cercare un contatto con il suo pubblico e a dare vita, prima volta anche questa nell’editoria, a una rubrica, La piccola posta, in cui risponde alle lettere dei suoi interlocutori: “una fresca femminilità, unita a qualcosa di mascolino – fu detto di lei – qualcosa di burocratico, mischiato a una ingenua monelleria”. Ammirata, chiacchierata, a Roma la Serao, dopo numerose avventure amorose, si lega al giornalista Edoardo Scarfoglio – che pure aveva duramente criticato il suo primo romanzo lungo Fantasia – in un travagliato rapporto di vita e di lavoro. Scarfoglio aveva fondato e dirigeva il Corriere di Roma, dove la Serao era presto arrivata. Madre di quattro figli, Matilde trova sempre il tempo e il modo di scrivere, tanto che anche la sua creatività romanziera, proprio in quei primi anni da sposa e madre, produce opere importanti, fra cui Il romanzo della fanciulla del 1886, e soprattutto Vita e avventure di Riccardo Joanna dell’87, l’unico romanzo ricco di riferimenti biografici, definito da Croce «il romanzo del giornalismo»: il giovane Riccardo, pur sconsigliato dal padre giornalista, da correttore di bozze, diventa redattore, cronista e infine potente direttore di un illustre quotidiano. Che è quanto accade a Matilde, quando, lasciata malamente Roma per pasticci finanziari, torna nella sua Napoli e con il marito fonda il Corriere di Napoli, di cui è indubbiamente l’anima e la mente pulsante e, nel 1891, Il Mattino, diventando la prima direttrice di un quotidiano italiano. A Napoli – tornando alla toponomastica da cui sono partita –, la piazza, “piazzetta” si chiama, intitolata alla grande scrittrice è proprio quella dove fu la sede storica del suo quotidiano! La vita con Scarfoglio le riserva grandi dolori: i due si separano, lei deve uscire dalla redazione ma sa rialzarsi con tenacia, fino a fondare, nel 1903, e dirigere insieme al nuovo compagno, Il Giorno, in diretta concorrenza con il giornale dell’ex marito e, di quello, più pacato e meno polemico, tanto da raggiungere presto un maggiore successo.
All’interno di questa indefessa opera giornalistica, è fondamentale ricordare l’impresa che forse più di tutte parla del cuore e dell’intelligenza della Serao: Il ventre di Napoli del 1884.
Il titolo che sembra riecheggiare il celebre Ventre di Parigi di Zola, pubblicato a Parigi una decina di anni prima, deve in realtà il titolo alla infelice espressione usata dal Presidente del Consiglio Depretis, in visita a Napoli nel settembre di quello stesso ‘84, insieme a Re Umberto, in occasione della terribile epidemia di colera.
In visita in via degli Orefici e nei cupi vicoli circostanti, Depretis rimane così sconvolto da esclamare a gran voce: «bisogna sventrare Napoli!». La frase fa il giro d’Italia e la Serao ne è tanto dolorosamente colpita, da immergersi immediatamente nella scrittura di numerosi articoli di lucida e spietata denuncia, raccolti poi in un unico volume con quel titolo.
«Efficace la frase, non c’è dubbio! Voi non lo conoscevate il ventre di Napoli, onorevole Depretis? E avevate torto! Perché voi siete il governo e il governo deve sapere tutto! (…) Non sono fatte per il governo le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie che parlano di Via Caracciolo, del cielo glauco e del mare di cobalto; tutta quella retorichetta, a base di golfo e di colline fiorite, serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata con racconti di miserie. Ma il governo doveva sapere l’altra parte, quella che nessuno conosce. Quest’altra parte, questo ventre di Napoli, se non lo conosce il governo, chi lo deve conoscere, onorevole Depretis? Vi avranno fatto vedere una o due, tre stradine dei quartieri bassi e ne avete avuto orrore, ma non avete visto tutto! I Napoletani stessi che vi conducevano non conoscono tutto. Sventrare Napoli? Credete che basterà, vi lusingate che basteranno tre o quattro strade attraverso i quartieri popolari per salvarli? Napoli, bisogna quasi tutta rifarla!»
La penna di Matilde è come un pennello pucciato in tonalità infinite di colori, accostati ora con grazia, ora con stridente contrasto; pennellate che gridano, incidono, che bucano persino la carta. Una scrittura decisa, che sembra non venga mai ripensata, né aggiustata: un’unica vena che dal cuore arriva alla mano.
Gli articoli della Serao hanno grande seguito, tanto che nel dicembre di quello stesso 1884, le Camere approveranno la legge per il risanamento, che bonificherà i quartieri più poveri della città.
Con questo stesso sguardo acuto e penetrante, Matilde racconta della società più mondana, di vestiti e acconciature, di amori e balli, compiacendosi delle sue conoscenze altolocate. Tanto materiale frivolo e divertente riempie la sua famosa rubrica Api, mosconi e vespe e il manualetto Saper vivere, codice di buone maniere di Matilde Serao: sua filosofia mondana, sue curiose esperienze salottiere.
Il comportamento sociale della Serao fu spesso pendolare: deplora le miserie della condizione femminile, ma non è favorevole al voto alle donne che trova idea balzana e esilarante; condanna senza mezzi termini la condizione dei bassifondi e corre alle feste blasonate; per scrivere di politica e firmare i suoi editoriali adotta come pseudonimo il nome Julienne Sorel, femminile di quel Julien, protagonista di Il rosso e il nero di Stendhal, tradendo così la sua spiccata simpatia per la Francia, in netto contrasto con quella filotedesca che andava allora diffondendosi e che la rese invisa al duce.
Caleidoscopica personalità, dunque, Matilde Serao: coraggiosa e tenace, vivace e chiassosa, colorata, appassionata, contraddittoria come la sua Napoli, si dice che scrisse almeno tremila parole al giorno in cinquantacinque anni di professione, per un totale di cinquantadue milioni di parole. Il grande cuore della Signora una calda sera di luglio del 1927 la tradì, sorprendendola con la penna in mano. ‘Scrivere fino alla morte’ era stata la sua stessa profezia che si realizzò precisamente…
Spesso cammino ancora nella via a lei intitolata, alzo lo sguardo a quella targa bianca così familiare e sento una profonda intimità e un profondo affetto per questa scrittrice che necessariamente deve abitare l’olimpo della scrittura e del giornalismo italiani, e non solo quelli al femminile.
