
REALISMO EDUCATIVO

MATILDE SERAO
MA IL RE È NUDO!

Si rideva, da piccoli, quando i grandi raccontavano la favola dei trasparenti vestiti nuovi dell’imperatore di Andersen, nota anche alla maggior parte dei ragazzi, anche nella nostra Accademia.
Ricordo ancora il libro dei miei nonni, dove le parole, scritte in grande, erano accompagnate da illustrazioni bellissime: nell’ultima pagina, il re appariva sotto il suo baldacchino dorato, con una canottiera striminzita e un paio di mutandoni a righe bianche e rosse come il suo viso, inondato di vergogna. Era bellissimo essere bambini e sentire che proprio un bambino aveva sbugiardato un grande!
Non si badava, da piccoli, alla trama raffinatissima di questa favola che, come sempre accade nelle favole, parla alle menti e ai cuori adulti, invitandoli con eleganza a riflettere su di sé e sulla propria relazione con il mondo.
Trama raffinatissima, proprio come quella che i due sartiimbroglioni tessono per i nuovi abiti del vanaglorioso imperatore di un regno non proprio fortunato ad avere una tale guida… L’imperatore pensa solo ai suoi abiti, ne ha uno per ogni ora del giorno, di lui non si dice «è nella sala del Consiglio», come si dice sempre di un re, ma sempre e solo: «è nel suo camerino». Impresa da poco, imbrogliare un animo che concentra tutta la sua attenzione e tutte le sue energie su una cosa sola! Ma l’astuzia dei due tessitori è di una sottigliezza veramente sbalorditiva, degna di un posto d’onore nel nostro anno dedicato alla finzione.
“Essi dicevano saper tessere la stoffa più incredibile mai vista. Non solo i disegni e i colori erano meravigliosi, ma gli abiti prodotti con quella stoffa avevano un curioso potere: essi diventavano invisibili agli occhi degli uomini che non erano all’altezza della loro carica, o che erano semplicemente molto stupidi.”
Veramente un colpo di genio! Se sei molto stupido o indegno del tuo posto nel mondo non riesci a vedere quello che io ti propongo come cosa meravigliosa: quando la questione è posta in questi termini, è molto difficile non cascarci. Di slancio, la sfida viene accettata. Lungi dal mettere in discussione e temere per la propria intelligenza, l’imperatore cede alla lusinga: vestiti nuovi, prima di tutto, e, insieme, la possibilità di capire al volo chi, fra gli uomini del seguito, non sia degno della sua fiducia. Come l’imperatore, tutti i cittadini sono divertiti e smaniosi di verificare l’intelligenza del prossimo grazie alla stoffa miracolosa.
Ecco la prima verità scottante: l’inganno ordito con furbizia è subito divisivo, genera sospetto, aizza gli uni contro gli altri; mettere alla berlina il proprio vicino è più importante che guardare a sé.
L’imperatore “non che temesse per sé, figurarsi: tuttavia volle prima mandare qualcun altro a vedere come procedevano i lavori”. Davvero non temeva per sé, l’imperatore? Ma certo che sì e quindi, perfettamente in linea con i miseri uomini di potere che le mani le fanno sporcare ad altri, manda avanti a verificare lo stato dell’arte un suo povero ministro. Questi chiaramente non vede nulla, dal momento che i tessitori, intascati tutti i materiali pregiati forniti loro dall’imperatore credulone, tessono, tagliano e cuciono giorno e notte niente altro che aria. Sul ministro, incaricato del primo sguardo, si gioca il destino della favola e del regno: la sua fragilità lo porta a dubitare soltanto di sé: «ma allora sono uno stupido? Non l’avrei mai detto! Ma è meglio che nessun altro lo sappia! O magari non sono degno della mia carica di ministro?».
L’imbroglio, la furbizia, la finzione cattiva ha buon gioco esattamente là dove abitano insicurezza e debolezza.
Da questo momento, a cascata, tutti cadono nella rete dei geniali imbroglioni: l’inganno si stende a macchia d’olio, nessuno ha più la forza di reagire al male. Ultimo, l’imperatore. Davanti ai sarti, egli si spoglia e, indossato l’abito leggero come l’aria, si gira e rigira davanti allo specchio, cercando consenso fra i presenti che naturalmente, si prodigano in complimenti e lusinghe: non sia mai che lo stupido sia proprio io che non vedo niente! Ed ecco il giorno della grande parata: l’imperatore marcia in testa al corteo e la gente per strada e alle finestre si compiace di tanta magnificenza. Finché, la voce di un bambino, senza indugioalcuno, grida la frase tanto famosa da far parte oggi del gergo comune delle conversazioni politiche e sociali: «ma l’imperatore è nudo!».
In un istante – anche questo è davvero impressionante – cade il velo della finzione, squarciato dalla voce dell’innocenza. Sussurri fra la folla: «non ha proprio nulla addosso» diventano in un attimoindignate grida di accusa. E l’imperatore, in un finale veramente patetico, fra i fischi e le urla della folla pensa che per lui l’unica soluzione possibile sia portare avanti la sua ingloriosa parata. Fa bene, forse, povero imperatore che adesso che siamo adulti ci fa anche un po’ pena. Interessante come la sua perseveranza nell’incedere vestito di nulla non insinui più alcun dubbio in nessuno dei suoi sudditi: nessuno pensa che il bambino si sia sbagliato e che all’imperatore sia dato invece di vedere i suoi abiti, proprio in virtù di un suo valore superiore, della sua supremazia su tutti? Nessuno si vergogna di avere ammesso di vedere? Nessuno, pur vedendo, segue l’imperatore nella sua misera sceneggiata? No, un bambino dice la sua — una bambinata magari – e tutta l’impalcatura crolla.
La favola suscita riflessione e domande infinite e ci permette di dialogare a lungo con i ragazzi, a partire da quegli abiti che anche nella loro e nella nostra vita hanno tanta quotidiana importanza.
Prima di inoltrarci nella riflessione, guardiamo un momento, come sempre facciamo all’autore della favola la cui biografia presenta caratteri interessanti.
Hans Christian Andersen è figlio di un povero ciabattino di Odense, cittadina agricola della Danimarca: questo misero padre, giovane e stravagante, vive nella convinzione di essere nato per qualcosa di più delle scarpe che cuce e dei calzini che vende con il suo carretto: è un animo artistico e sognatore, legge e cammina nei boschi e racconta fiabe infinite al suo bambino, sollecitando in lui la fantasia e il desiderio di svago. La mamma, analfabeta, non è da meno: una vecchia strega le ha predetto che Odense un giorno si illuminerà a festa per acclamare il suo amato figlio. E così accade. Il piccolo Hans, rimasto solo, a quattordici anni – siamo nel 1819 – se ne va a Copenaghen, deciso a diventare un attore: conosce la profezia della sua mamma e questo sembra bastargli per avere fiducia in sé. Da quel momento, una serie di incontri fortunati e la benevolenza di personaggi influenti, fra i quali lo stesso Re Federico, gli permette di vivere dignitosamente e soprattutto di studiare e assecondare il suo talento e la sua fantasia: comincia un corso regolare di studi solo a diciassette anni! Compone innumerevoli raccolte di fiabe, attingendo al patrimonio personale dei suoi ricordi e elaborandone di nuove, che prendono spunto da episodi di vita vissuta.
Una figura che, dal nulla, è diventata immensa e capace, con le sue favole di creare monumentali e indistruttibili paradigmi esistenziali: suoi sono, infatti, Il brutto anatroccolo, La principessa sul pisello, Pollicina, La sirenetta, La piccola fiammiferaia: favole senza età che, proprio come questi Vestiti nuovi dell’imperatore, suscita sempre da capo, in chi le legge e se ne lascia leggere, domande e riflessioni fondamentali.
