
IL RISIKO STRATEGICO DEI REFERENDUM
IL RAGAZZO È INTELLIGENTE. PERCHÈ NON SI APPLICA?

È intelligente. Perché non si applica?
Mamme infinite, accartocciate davanti ai professori dei loro figli, sono colpite dalla fatidica sentenza: «Signora, il ragazzo è intelligente, ma non si applica!». È questa la tipica carezza in un pugno, dove il primo emistichio dovrebbe rassicurare il trepidante genitore, prima che il secondo affondi la lama nel suo stomaco in subbuglio. La frase sembra decretare una ineluttabilità che, concentrando tutto il male sulla volontà del ragazzo, consente poco margine di manovra al resto del mondo. Che il ragazzo sia intelligente — la forma è generica e anonima — appare come una dichiarazione messa lì solo ad arginare il dolore e l’ira dei parenti, passa un po’ in secondo piano, non ci si sofferma mai abbastanza, e si trascura sempre la domanda che sorge spontanea: ma perché mai se un ragazzo è intelligente, non dovrebbe applicarsi nell’unico “lavoro” della sua vita, che è la scuola?
E cosa significa esattamente non si applica? Cosa c’è dietro a questa perentoria conclusione? Come sempre, la facilità con cui asserzioni tanto spigolose piovono come pietre sulla testa e sul cuore delle persone è il vero nodo da sbrogliare…
Quando ho deciso che avrei passato la mia vita a costruire delicatamente bambini e adolescenti, scolari e studenti, ho realizzato di avere avuto una grande fortuna nel mio percorso scolastico e di crescita: i due esami a settembre in prima liceo. C’era una volta il ginnasio in cui, dopo aver finalmente imparato, in tre complessi anni di scuola media, ad avere a che fare con tanti professori quante erano le materie di studio, a comprendere e a adattarsi a tanti caratteri e tanti metodi di insegnamento, si finiva, ingranando una deludente marcia indietro, al cospetto di un’unica professoressa, una tentacolare grande madre che insegnava tutto lei: italiano, greco, latino, ma anche storia e geografia. Via da lei, solo qualche periferica ora di matematica e di lingua straniera.
Fra me – giovane biondina, seria e studiosa, gioiosa e piena di amici, alunna eccellente e amata da professori, promossa all’esame di terza media con un tondo ottimo – e l’onnisciente sacerdotessa delle mie giornate – tutta grigia, algida e secca – fu antipatia a prima vista. Panico, orrore, incubo: perché quando con la onnipresente prof del ginnasio funzionava male, non avevi altro cantuccio in cui riparare: andavi male in greco e anche in latino, in italiano e incomprensibilmente persino in geografia! Dopo un anno rimasto forse per sempre il peggiore della mia vita; dopo lo sgretolarsi di tutte le mie certezze e della mia gioia di vivere; dopo infiniti fogli protocolli incisi con 4 e 5 di un color blu buio come il fondo dell’oceano e 6 rari come una vincita al gratta e vinci; dopo colloqui dai quali mia madre, professoressa di scuola superiore anch’ella, tornava stremata, con il cuore e le orecchie piene di “non ci siamo! non ha metodo! Non si applica! Non è la sua scuola”; dopo tutto questo, insomma, finii rimandata a settembre in greco e in latino! Cinque e cinque. Estate rovinata. Passati in qualche modo gli esami, guidata solo dall’amore della mia mamma, dichiarai perentoriamente in casa che io in quella classe non avrei mai più messo piede: il comprensivo vicepreside acconsentì eccezionalmente a un cambio di sezione. Nei successivi quattro anni di greco e di latino, furono ancora più rari i 6, affogati, questa volta, in un mare di voti altissimi che, di mese in mese, mi confermavano di avere scelto la scuola giusta per me! Alla maturità, la mia classe finì nella stessa commissione di quei dieci compagni di IV ginnasio sopravvissuti a Malefica, e quale non fu la mia soddisfazione quando la presidente, all’orale, mi fece i complimenti per la traduzione di latino, comunicandomi che era stata la migliore di tutta la commissione! Poi, mi sono laureata in lettere classiche, in greco! Quando incontro un ragazzo nuovo a lezione, racconto sempre questa storia ed è forse per questo che quel non si applica non fa parte del mio vocabolario. Io mi applicavo e non riuscivo più, studiavo e non sapevo più dire, tutto era bloccato dentro e fuori di me.
Cosa significa poi applicarsi? La preposizione ad esprime sempre un movimento, una tensione e il verbo in sé significa avvolgersi, accostarsi a qualcosa fino a formare con essa una piega, una plica: l’immagine che mi suggerisce la parola e la circostanza del momento è quella di un foglio di carta che si muove verso qualcosa di stabile e solido e, formando una piega, si innalza e vi aderisce completamente, fino a creare un tutt’uno con l’altra cosa… Come dire: perché avvenga un’applicazione ci vogliono una parte flessibile e una parte più solida. Quindi, allo studio e ai suoi libri certamente ci si può applicare. Mentre scrivo, ho sotto gli occhi un grande vocabolario, bello, ricoperto con cura, ricco e amico! Proviamo: dirigo il mio foglio bianco verso questo grande libro e, se lo indirizzo bene, con la direzione e lo slancio opportuni e se il librone gli offre il lato giusto, il foglio si piega, aderisce e si innalza; ma se il foglio non si muove correttamente, se il suo approcciarsi è incerto e debole e se il grande libro non lo attende nella posizione migliore, ecco che il foglio gli si infila sotto e sparisce sotto miriadi di parole e informazioni sterili… Così, perché avvenga una applicazione, la parte flessibile necessita di una direzione, una forza e una intenzione che spesso i ragazzini (forse anche tanti adulti) non hanno. È innata o acquisibile? Talvolta è innata, talvolta la si acquista in famiglia per osmosi, talvolta va pazientemente insegnata, talvolta va insegnata anche a suon di legnate (figurate, non sia mai!).
La domanda corretta dunque sarebbe: se è vero, come spesso è vero, che il ragazzo non si applica perché non lo fa? E, soprattutto, è consapevole di non farlo?
Io studiavo molto in quel primo anno di liceo, ma in realtà oggi so dire che passavo solo molto tempo sui libri, seduta al mio grande tavolo bianco, consumando ore e perdendo le cose belle della vita di quattordicenne. So anche che mi sentivo disprezzata, so che è stato solo un anno di crisi, so che non sapevo piegarmi nel modo consono all’insegnante e agli insegnamenti.
In Piccioletta barca, si sa, non ci occupiamo direttamente di compiti e di scuola ma, proprio in questi giorni, come tutti, stiamo facendo i conti con i voti finali e le pagelle, perché è bello e giusto così. Dolorosamente registriamo due bocciature quest’anno e una discreta dose di debiti: i ragazzi sono intelligenti, ma non si sono applicati! È vero, non posso negarlo. Sono intelligenti, sì! Uno di loro ti sgrana addosso due occhioni scuri e brillanti e coglie ogni parola; uno è generoso e ha sempre voglia di raccontare, ricorda tutto e non perde un collegamento fra cose, persone, fatti; un altro fulmina con le sue idee e la sua ironia sottile… se non si sono applicati è perché ancora non sono flessibili abbastanza, perché non hanno ancora la direzione necessaria e forse anche perché non è solida abbastanza la cosa su cui devono piegarsi fino ad avvolgerla. Ma è sull’intelligenza che bisogna puntare: è quella la parte della illustre dichiarazione su cui continuare a investire.
Perché un ragazzo si applichi ci vuole una mano decisa e autorevole che lo indirizzi, che non gli consenta di svicolare a destra e a sinistra, che conosca, meglio di lui, la direzione, che imprima il suo stesso slancio e il suo stesso desiderio, che non lo perda di vista mai; e ad attenderlo ci vuole un cuore solido, ricco e capace di appassionare; ci vuole una forma, un aspetto e una postura che invoglino, che appassionino, che siano credibili, che agevolino l’applicazione.
La mano decisa è quella della famiglia; la forma bella e appassionante è quella della scuola.
La Piccioletta barca cerca con tutte le sue energie di giocare entrambe le parti: prova a indirizzare con decisione e accoglie con passione, prova a spingere con fermezza e lascia aderire con semplicità, prova ad agevolare la piega e si lascia avvolgere con entusiasmo. Non sempre il risultato è immediato, ma tutte le volte che i fogli bianchi finalmente si applicano alle nostre parole e al nostro cuore, vengono scritte storie meravigliose!