
DANTE E IL (SUO) FUTURO

DANTE E IL (SUO) FUTURO — parte 2
BONA VERBA LENTE MOVENT, MALA EXEMPLA CELERRIME TRAHUNT

Se in questi miei piccoli scritti ricorro spesso alla lingua latina, non è certo per dare sfoggio di misere conoscenze, ma per sottolineare, con una certa mestizia, come la sapienza antica fosse già arrivata là dove la contemporaneità stenta – in buona o mala fede, non lo so –, cosa che mi interroga da sempre e mi addolora molto: progrediamo in tutto, ma non in sapienza…
Le buone parole smuovono lentamente, gli esempi cattivi trascinano vorticosamente sono le parole rivolte da un maestro che di sapienza ne possedeva molta al suo discepolo! Era così, evidentemente, all’alba dei tempi e così è ancora, con l’aggravante che, ora, il moto vorticoso non interessa solo la velocità con cui il cattivo esempio trascina al male gli animi, ma anche la rapidità con cui tali esempi si propagano via etere.
Qualche sera fa, a tavola, la mia figlia ventenne mi racconta che un’amica delle medie di due anni più grande ha il ruolo di protagonista in una serie Tv della Rai. Ricordo bene quella ragazza: bella, brava e piena di talenti, suonava magistralmente il violino già allora, cantava ed era schiva e tenacissima. Vengo a sapere che negli anni si è impegnata a fondo nella sua passione artistica con ottimi risultati e ora frequenta un’accademia di cinema. Mi viene curiosità di vederla recitare e, con piacere, accolgo l’idea di guardare su RaiPlay la prima puntata di questa serie tv… Sul divano siamo mio marito – con il quale scambierò lunghi e ed eloquenti sguardi silenziosi –, mia figlia e io. So bene che le serie Tv vanno per la maggiore, che ce ne sono di ottime e di pessime: per abitudine, non guardo televisione e annessi e, semmai, per il mio lavoro accanto ai ragazzi, cerco di tenermi aggiornata tramite amici e compagni di lavoro, tramite radio e articoli. Bene: è la prima volta che guardo una serie che parla ai giovani della vita dei giovani. Uno spaccato dei nostri tempi, una storia dell’Italia contemporanea.
Buona, ottima la recitazione della compagna di scuola: brava, autentica, convincente. A lei tutti i miei migliori auguri per una carriera artistica grandiosa! E se è vero che da qualche parte bisogna pur cominciare, le auguro di volare presto verso lidi migliori.
Pessima, insostenibile direi, la serie tv. Resisto fino alla fine della puntata esclusivamente per dire che l’ho guardata tutta. Non ce ne era certo bisogno, considerato che, dopo sette minuti, si capiva perfettamente dove saremmo approdati, in una sceneggiatura trita e ritrita, vuota, con dialoghi di una banalità disarmante, personaggi tagliati con l’accetta, primordiali, deprimenti. In sintesi estrema (la banalità della trama non richiede che due parole): ragazzo della periferia di una città di provincia (diciassette anni, quarta liceo classico, bello e bravo, famiglia standard e triste, padre depresso in collasso finanziario, mamma ovvia tendente al decerebrato), si prende una cotta per la star della classe (bella e ricca, con famiglia disastrata, padre bipolare che l’ha abbandonata e mamma in carriera); paghetta mensile ridicola per lui che non riesce a stare al passo con la vita mondana in cui deve immergersi per stare dietro a lei; droga, sesso e alcool e lui, miserello, che cade nella trappola della droga a buon mercato, generosamente cedendo pasticca di serie B a un compagno che chiaramente muore… Non mi interessa guardare le altre puntate, non mi interessa sapere come vada a finire la vicenda. Per la mia riflessione, questi elementi sono più che sufficienti. Finalmente la puntata finisce: a caldo, chiedo a mia figlia cosa ne pensi, a freddo ne parlo con altri giovani: «beh sono cose che succedono davvero – mi dicono guardandomi come se fossi un triceratopo imbalsamato in vetrina –; la vita è così adesso; non sai quanti ragazzi giovani vivono così, è normale!» Chiedo, secondo loro, che messaggio trasmetta ai giovani una storia così e la conclusione che traggo, facendo una media ponderata delle risposte, è che il racconto di cose brutte, le immagini forti e violente servono per indurre i giovani a fare il contrario e far capire cosa sia il bene…
Mi inalbero. Poi mi rattristo e penso alla fatica quotidiana con cui, una parola per volta, un libro per volta, un autore per volta, un ragazzo per volta cerco, insieme a uno sparuto gruppo di amici, di insegnare ai ragazzi il Bello e il Buono della vita, di piantare in loro semi di fiducia in quella promessa meravigliosa che coincide con la loro nascita, semi di stima nelle loro capacità, di speranza nell’avvenire. Una parola per volta, tratta non dalla voce delle mie viscere, ma dalla voce di chi ha tracciato mirabilmente nei secoli la Storia della letteratura, dell’arte, della musica. Cosa posso io, un minuto alla volta, contro mamma Rai, le sue tentacolari propaggini, affini e derivati, web e social?
Mi inalbero, mi rattristo, mi riprendo e scrivo.
No, la vita normale, quella vera, non è così! Non lo è mai stata e non lo è neanche adesso. Ma attenzione, perché ci sono adulti che vogliono fare credere ai nostri ragazzi che la vita sia così e, poiché da sempre il male fa più audience del bene, imbellettano i loro bilanci economici di una retorica falsa e infida, secondo cui il mal esempio dovrebbe imprimere, per con una improbabile dinamica di contrappasso, il desiderio di fare il bene. Ma noi adulti sappiamo benissimo la pericolosità dell’effetto emulazione negli animi giovani (e non).
Non rientrare a casa la notte a diciassette anni senza avvisare, per passare una notte nel letto della star della classe non è una cosa normale, di cui una madre decerebrata, dopo aver cercato il figlio tutta la notte telefonando a tutti gli ospedali, finisce poi per compiacersi, quando scopre di chi sia figlia la ragazza in questione e che un padre triste liquida con una sgridatina, cercando di orientarsi nel labirinto delle sue angosce! Sbiellare ogni sera grazie a una pasticca magica non è normale, come non è normale comprare da un ceffo quella pasticchina a buon mercato e cederla neanche fosse un tic tac all’amico in crisi, non pensando alle conseguenze di un gesto. Non parlare serenamente a figli quasi maggiorenni delle difficoltà famigliari non è normale, è una mancanza grave e irresponsabile, propria di adulti solo all’anagrafe. Succedono queste cose tristi e violente, sono sempre successe, e qualche grande autore le ha raccontate con coraggio in libri e film magistrali: talmente duri e difficili da portare, da non costituire certo un passatempo per teenager annoiati.
Ma non finisce qui: terminata la puntata, la stessa mamma Rai, in un telegiornale, osanna con retorica uguale e contraria gli “angeli del fango”: ragazzi meravigliosi – ma non hanno la stessa età di quelli della serie tv? – che senza indugio hanno spalato per giorni il fango in Romagna. I ragazzi diventano meravigliosi, generosi, altruisti, sensibili, eroici. Esagerato tutto, troppi superlativi che ai giovani, di nuovo, non giovano. Perché, questa volta sì, è normale aiutare chi è in difficoltà: i giovani di oggi si muovono sempre per gli altri, come sempre si sono mossi: i giovani fanno ore e ore di volontariato e sono così belli i giovani, che lo fanno divertendosi e cantando.
Decida la cara Rai tv (che un po’ più responsabile dell’ultimo social dovrebbe ancora sentirsi), decida la società adulta in generale: decida una volta per tutte cosa pensare dei giovani e come guardarli, se prestare loro credito oppure no. Una volta presa la sua decisione, rischiando in proprio, non oscilli come un pendolo fra dannazione e beatificazione: decida e tratti i ragazzi di conseguenza, offrendo loro gli esempi che meritano, ben sapendo che l’esempio violento carica i ragazzi come cannoni, pronti a deflagrare quando meno se lo aspetta.
Deflagrante in tutti i sensi il tema di una ragazza di terza media, la scorsa settimana. Si intitolava: “A partire da Lo sposalizio della Vergine di Raffaello, racconta il dialogo fra i personaggi in secondo piano sulla destra: un ragazzo vestito di giallo raggiunge un gruppo di adulti e dice…”. Ebbene, in quel giovanetto, la ragazza ha visto un disperato che correva a chiedere aiuto – ma la voce non gli usciva e la sua lingua era incomprensibile –, perché da lì a breve sarebbe avvenuta una strage: non fa in tempo a terminare la frase, che uno sparo in faccia allo sposo gli fa saltare le cervella; un secondo sparo in faccia uccide la sposa, il terzo il ragazzo vestito di giallo, il quarto lei che scrive… Lei, che scrive, è una ragazza di buona famiglia, studente discreta, sportiva e simpatica con tutto il necessario per vivere una adolescenza serena. Non riesco a essere serena da quel momento, cerco un confronto e lei ride e basta e non sa dire da dove le sia venuta l’idea.
Ma non c’è proprio di che ridere. Lavoriamo e facciamolo in fretta per invertire la rotta. Non avremo platee e migliaia di follower, e di conseguenza non diventeremo ricchi. Ma, un ragazzo alla volta, uno spettatore alla volta, offriamo loro esempi che tengano desta in loro quella naturale inclinazione al Bene che li sta portando in Romagna a spalare. Di fronte ai giovani niente è peggiore e più dannoso di un atteggiamento ondivago e titubante: bisogna essere adulti davvero, pazienti, onesti intellettualmente e silenziosi per aiutare un ragazzo a diventare adulto. Lo si fa lentamente, con il buon esempio e con le buone parole.