
VIVERE PIENAMENTE NEL MONDO, MA DISTACCATI DAL MONDO

VIVERE IN MODO DA POTER ESSERE FELICI
ESPLICITA E IMPLICITA

Ai più appaiono noiosi e aridi lo studio e l’insegnamento dell’arte della grammatica e della sintassi. Io, al contrario, li trovo un atto altamente formativo e persino pieno di poesia e sapienza! Basta non fare della grammatica una materia algida e tecnica; basta porgerle domande profonde e lasciarsi affascinare dalle sue risposte, basta indagare il significato e il senso del suo linguaggio e collegarlo alle esperienze dell’umano e del quotidiano. Allora si capiscono molte cose, della grammatica e della vita.
Per esempio: affacciandosi all’analisi del periodo, in terza media, uno dei primissimi concetti che i ragazzi devono imparare è la natura implicita o esplicita delle proposizioni subordinate. Tecnicamente, si scalpella nei loro cervelli, a furia di legnate, che esplicita è una proposizione il cui verbo sia espresso da un modo finito e implicita una proposizione con il verbo al modo indefinito. Voragine nelle giovani menti: cos’è un modo finito e un modo indefinito? Semplifichiamo: un modo indefinito (infinito, participio e gerundio) non si coniuga, un modo finito (indicativo, congiuntivo, condizionale o imperativo) si coniuga. La voragine non si colma e arriviamo al massimo grado possibile di semplificazione: un modo finito ha le persone, un modo indefinito non ha le persone! E, a pensarci bene, esplicito viene dal verbo latino explico che immediatamente rende l’idea di qualcosa che si mostri nella sua evidenza, qualcosa di disteso e visibile al resto del mondo: c’è relazione nell’esplicito. Implicito invece deriva da implico che, al contrario, è il verbo dell’avviluppo, quello dell’edera intorno all’albero, è il verbo della penetrazione profonda, quella dell’infezione nel corpo; il verbo dell’inceppamento, della confusione, quella delle risposte evasive degli oracoli e dei discorsi imbrogliati e contorti: c’è solitudine nell’implicito.
Non stupisce dunque se al fenomeno della dispersione scolastica siano stati attribuiti questi due possibili aggettivi.
Dispersione scolastica esplicita: chiarissimo. Si tratta del fenomeno per cui gli studenti abbandonano la scuola prima del tempo, interrompono temporaneamente la frequenza, si ritirano per periodi determinati, vengono bocciati per impreparazione o per mancato raggiungimento dei giorni minimi di frequenza. I dati parlano di una situazione italiana allarmante, come sempre peggiore di quasi tutti i paesi europei (ma torneremo su questo), lontana di quasi 4 punti dall’obiettivo del 9%, stabilito dalla UE per il 2030.
Ben più subdola la dispersione implicita: “dispersi impliciti sono gli studenti che, pur raggiungendo il diploma d’istruzione superiore, mostrano gravi carenze nelle competenze di base e non raggiungono i traguardi minimi di preparazione previsti per il loro percorso di studio” (Ricci, 2020).
Un numero spropositato di giovani comincia comodamente la scuola superiore, senza aver raggiunto il livello adeguato di conoscenze utili al conseguimento del diploma. Diploma che comunque, in qualche modo invece consegue, per poi conseguire anche una laurea, per poi occupare posti di responsabilità, con un carico di ignoranza da fare tremar le vene e i polsi, come la bestia che impedisce a Dante il cammino nel primo canto dell’Inferno.
A me questa seconda dispersione rattrista, scoraggia e spaventa assai più della prima. Una bella litigata, si sa, è meglio di quei silenzi gelidi e impenetrabili che danno adito a funeste interpretazioni e il distacco dalla scuola, come quello da un luogo, da un’amicizia, da un libro mi danno l’idea di un tempo sospeso che potrà sempre essere ripreso in mano e colmato. Quante sono le storie gloriose di abbandono e ripresa della carriera scolastica! Non le cito, perché non amo cedere a miti e leggende metropolitane, ma nella mia discreta esperienza di educatrice e insegnante autonoma, di scuola elementare, media e superiore, sono sempre più convinta della non coincidenza fra cultura autentica e successo scolastico. Una simpatica avvocato di successo, qualche giorno fa a pranzo, mi diceva che, nel fare i colloqui per accogliere praticanti nel suo studio, diffida immediatamente da quelli che le presentano un voto di laurea molto alto…!
Una esplicita antipatia fra scuola e studente consente margini di manovra: un cambio di marcia o di mano, una rivalutazione, un aggiustamento e, se anche l’addio fosse definitivo, a costo di sembrare naif, non mi sento di decretare la condanna a morte di un essere umano non diplomato, qualora egli sia di sana e robusta costituzione, disponibile a lavorare dove e come potrà, di animo sereno e di principi morali retti. Non ho mai inteso creare un centro di cultura per ragazzi per popolare il mondo di medici, avvocati e commercialisti, ma per provare timidamente a immettere nel mondo degli adulti coscienziosi e saggi che, rientrati la sera dal lavoro, qualunque esso sia, abbiano il piacere di leggere un libro o guardare un bel film e vadano a votare consapevolmente (che vadano a votare già basterebbe, al giorno d’oggi). Un ragazzo in esplicita crisi scolastica e in esplicito odore di abbandono offre a chi gli voglia bene dei buoni appigli cui aggrapparsi per restituirgli fiducia e pace, per cancellare il senso di inadeguatezza e paura: la scuola e la comunità educante, la società intera mi sembra possano farsi maggiormente parte attiva di fronte all’esplicito; come dire: con il nemico dichiarato si possono fare i conti.
Ben diversa mi pare la dispersione implicita: spesso la scuola manda avanti (clamoroso il caso dell’anno di pandemia) e francamente, che altro può fare? Bocciare sì, ma quante volte? Spesso la disparità fra una scuola e l’altra, all’interno della stessa città, è tale da rendere il sistema dei voti fragile come un castello di carte. Ma nessuno ancora sembra trovare una soluzione valida. Ci prova, con alacre e indefessa opera, l’Istituto Nazionale per la VAlutazione del SIstema educativo, erogatore delle temutissime prove Invalsi, appunto, ma da decenni i suoi risultati non fanno che confermare il divario fra nord e sud, fra centro e periferia, fra città e paesello. Tutto vero, ma poco risolutivo.
Dopo la biennale sospensione degli esami di terza media causa covid, fra maggio e giugno scorsi, abbiamo affiancato dieci quattordicenni nella preparazione della prova tornata alla sua normalità. Correggere temi di terza media – che diventano elaborati del liceo e poi tesine universitarie! – intrisi di ignoranza grammaticale, di povertà lessicale, di miseria culturale, di voragini logiche è una prova dura e dolorosa. Su dieci ragazzi, otto non erano in grado di scrivere, ma nemmeno di esporre con proprietà la loro scarna tesina… Sono passati tutti, uno solo con il 6, gli altri con voti dall’8 al 10 e lode. Hanno il diploma di terza media ma sono candidati al ben più triste diploma di dispersi scolastici impliciti, indubbiamente. In Piccioletta barca, proviamo tenacemente a fare fronte alla dispersione scolastica implicita della nostra coraggiosa Arpinet, o dell’esuberante Ignazio, della dolce Angela che, forti dei loro voti a due cifre, stanno affrontando con coraggio un liceo, incoraggiati e sostenuti da noi! Ho promesso loro sostegno, ma, provare per credere, come è stato complesso dovere suggerire loro di non sbandierare ai quattro venti il risultato, di mantenere un profilo basso e umile, loro abituati, fino a oggi, allo stallo più alto della loro modesta realtà scolastica! Che pena doverli aiutare, dicendo con franchezza che la loro preparazione reale non corrisponde a quella coincisa perentorietà dei numeri rossi che decorano i fogli protocollo in alto a destra!
Messaggi impliciti, dialoghi sommessi e cauti, parole evasive come quelle dell’oracolo, pronunciate in disparte, senza persone…
Quanto più gioiosa e sincera energia nel dire ai loro modesti e timorosi compagni: non arrenderti, tu puoi fare di più, tu vali di più, non ti scoraggiare, tu sei perfettamente in grado di andare al liceo perché ci siamo noi! Parole esplicite, calde, sorridenti,pronunciate con convinzione. E con persone davanti!
Chiedere fondi per un progetto di costruzione di una scuola in Africa è un appello dalle tinte esplicite, vivaci, semplice da capire da parte di chi ascolta, e funziona; chiedere fondi per sostenere l’animo di tanti ragazzi che non sanno nulla, e non sanno di non sapere, che non trovano risposta alle loro domande, che si sentono tristi e inadeguati nella scuola milanese del quartiere, è un appello dalle tinte implicite, scialbe, poco chiaro a chi ascolta, e non funziona.
La dispersione scolastica implicita è sommersa; più che doppia per gli allievi che provengono da famiglie meno avvantaggiate;comincia alla scuola primaria, quella bella scuola atta a insegnare a scrivere, leggere e fare di conto… scrivere in modo corretto e ricco però, leggere con espressività, capendo quello che si legge,fare i conti in fretta e a mente. Per questo il nostro progetto, originariamente destinato alla sola scuola media, è lentamente debordato al di qua e al di là: ora accogliamo i bambini dalla quarta elementare e li seguiamo fino al secondo anno di superiori. Non prendiamo la scuola di petto, le giriamo attorno, cercando di avvicinare e appassionare i ragazzi al Sapere, non alle informazioni; alla Cultura, non all’erudizione; al Bello e al Buono,non all’immediatamente utile.
Nei confronti della scuola poi, nessuno sdegno, nessuna condanna, nessuna laudatio temporis acti, nessuna esterofilia (e smettiamola,una volta per tutte, di paragonare la scuola italiana alla beffa che altro non è la maggior parte delle scuole europee, regni dei test a risposta multipla, delle domande chiuse, della correzione computerizzata, dei programmi ridotti, dell’abolizione dell’orale e delle materie umanistiche che non servono a nulla! Il ragazzo danese che ho ospitato durante uno scambio liceale si è schiantato al secondo giorno di liceo italiano, mentre i nostri ragazzi erano in grado di tenere lezione quando hanno restituito la visita a Copenaghen; un mio debole, debolissimo alunno di liceo scientifico si è trasferito al liceo scientifico inglese dove, con successo straordinario, ha fatto fronte a un programma che prevedeva esclusivamente lo studio delle quattro materie scientifiche, appunto); nessun giudizio e nessuna sentenza sputata al di qua della barricata. Solo una profonda amarezza per un sistema scolastico che non riesce a spiegare le sue vele, gonfiandole al vento del patrimonio culturale più vasto del pianeta, non riesce a mostrare l’evidenza di un ingenio poetico, artistico, scientifico senza pari; solo un acuto dolore per un sistema scolastico avviluppato come edera disordinata attorno a un tronco avvizzito, non nelle materie che insegna e che non invecchiano mai, ma nel metodo, infetto fin nelle ossa, inceppato nella burocrazia, evasivo nell’offerta confusa e troppo ampia. C’è solitudine nella scuola.
E nel cuore una profonda passione per i giovani e per la cultura, l’unico bene che mai nessuno potrà sottrarre dalle mani di chi lo stringa con forza; un tenace appello alla politica, perché metta mano a una riforma seria, intelligente e coraggiosa che non semplifichi ma, al contrario, approfondisca, che elimini lo scempio del posto fisso, che valuti e premi o punisca gli adulti responsabili della formazione, che stanzi fondi per rendere le scuole luoghi sicuri, certo, ma anche gioiosi e belli perché è provato che un ragazzo seduto nel bello apprenda con maggiore desiderio e facilità! In tanti anni di vicinanza alla scuola, come alunna prima, come mamma poi, ora come libera professionista ho incontrato tanti eroi dell’insegnamento, e della educazione,paladini della formazione, alfieri dell’amore e della passione educativa. Accanto a loro, masse di persone — insegnanti sì, ma anche dirigenti, segretari e personale di sostegno — grigie e sciatte, demotivate, depresse, arrendevoli, indolenti e truffaldine: erba buona, esplicita, mischiata a gramigna implicita, come sempre,come ovunque. Ma la scuola non è un ovunque: la scuola, al pari dell’ospedale, è l’istituzione più importante di un Paese, è la sua culla, è la sua carta di identità, è la sua bandiera!
Esplicita o implicita, la dispersione è sempre subordinante, proprio come quella proposizione da cui siamo partiti…