
MA, ALLORA, DI SHAKESPEARE COSA DICONO?!

“LIBERA” DI CREDERE NEL CAMBIAMENTO
DONNE MONUMENTALI

Compie un anno a settembre la prima statua milanese dedicata a una donna, una eroina della sua grande storia risorgimentale: Cristina Trivulzio di Belgiojoso. Al di là delle troppo facili considerazioni su questo unicum cittadino, che hanno riempito i giornali locali ma che poco mi interessano, sono stata veramente felice di incontrare Cristina Trivulzio, comodamente seduta in quel gioiellino centralissimo ma intimo e silenzioso che è piazza Belgioso, adagiata sulla sua ampia gonna a pieghe, la mano destra posata su un libro, la sinistra con una bellissima penna d’oca fra le dita, su un mucchio di fogli di carta squadernati, pieni di una scrittura fitta proprio come le pieghe della gonna. La caratteristica che apprezzo di più in questa statua è la sua dinamicità: una donna attiva, intelligente, coraggiosa raccontata dalla pietra così come doveva essere: non adagiata sul suo prestigio, ma protesa in avanti, nel futuro della città e del Paese alla cui evoluzione politica e sociale partecipò con tutte le sue forze, materiali e mentali.
Intrepida e anticonformista, Cristina era discendente dei potentissimi Trivulzio, una delle storiche famiglie della grande aristocrazia milanese. Si sposò molto, troppo, giovane con lo scapestrato principe Emilio di Belgiojoso, portando in dote una somma equivalente a qualcosa come quattro milioni di euro attuali, da cui si separò presto e serenamente, per poi avvicinarsi, verso la fine degli anni venti dell’Ottocento, ai grandi ideali patriottici che saturavano l’aria lombarda. A questi ideali e agli ambienti che li propugnavano, la introdusse l’amica Bianca Milesi, di qualche anno più grande, altra geniale e generosa patriota, che amo non meno di Cristina. Pittrice e scrittrice, ideatrice, fra l’altro, della carta frastagliata, un astutissimo metodo di criptazione dei messaggi, a lei è dedicata la via in cui si trova la scuola media frequentata dalla maggior parte dei ragazzi della Pb. E poiché tutti loro ignorano l’identità di questa donna straordinaria, racconto la sua vicenda circa quaranta volte all’anno, sempre con grande entusiasmo!
Contagiata dal fervore della vita politica milanese, Cristina non si fermò mai, perché niente e nessuno mai riuscì a fermarla: ci provò la polizia austriaca, e lei riparò in Svizzera e poi in Francia; ci provò la confisca dell’intero suo patrimonio, e lei, come la più modesta delle sartine, a Parigi si guadagnò da vivere cucendo pizzi e coccarde. Appena rientrata in possesso dei suoi beni, li impiegò per pubblicare giornali patriottici su cui scriveva lei stessa, per aiutare fuoriusciti italiani, per finanziare iniziative politiche. A Parigi, nel suo colto salotto letterario si riuniva la crème della cultura francese e non solo: grandi artisti, scrittori, filosofi affascinati tutti dalla competenza della padrona di casa, in grado di sostenere qualsiasi conversazione.
A fermarla ci provò anche una gravidanza illegittima che Cristina gestì per conto proprio, mettendo al mondo l’amata figlia Maria e isolandosi con la piccola per un lungo tempo che divenne una parentesi feconda di studio e produzione letteraria. Rientrata in Italia, a Locate, dove possedeva una tenuta di famiglia, aprì un asilo per bambini poveri e successivamente una scuola elementare per ragazzi e ragazze, una scuola professionale femminile e una scuola di tecnica agraria maschile, dei laboratori artigianali per pittori, rilegatori, occupandosi anche di forme previdenziali per i contadini. A questo le servì essere ricca, intelligente, coraggiosa e buona ma anche a scrivere in difesa della causa italiana su giornali internazionali, a finanziarne altri, a fondare la rivista Ausonio, a contribuire, pur da lontano, al successo delle Cinque giornate di Milano. A fermarla ci provò il violento tramonto di questa parentesi di libertà che spinse tanti milanesi all’esilio e lei, pronta, fuggì in Franca per rientrare in prima linea l’anno successivo, il 1849, a Roma a difendere l’effimera Repubblica, dove assolse magistralmente l’incarico di organizzare gli ospedali, raccogliendo intorno a sé donne di tutte le estrazioni sociali, antesignane delle infermiere. L’ennesimo tentativo di fermarla venne dalla repressione di questo nuovo moto patriottico, ma Cristina, seppur triste e certo invisa alle autorità, rispose salpando per l’Oriente: Malta, Grecia Turchia, dove comprò una casa e organizzò una fiorente azienda agricola. Nel 1855, grazie a un’amnistia poté rientrare in Lombardia dove morì nel 1871, cittadina dell’Italia unita.
“Se avessi a disposizione la macchina del tempo – ho scritto altrove – è in quel periodo che vorrei volare e vivere l’avventura di una delle eroine nascoste del Risorgimento; le giardiniere, compagne carbonare dei buoni cugini, che ai rigogliosi giardini interni dei palazzi milanesi, affidavano i segreti dei loro incontri misteriosi. Maria Gambarana, Cristina Belgiojoso, Teresa Confalonieri, Matilde Viscontini: con i loro abiti lunghi tessuti di quel coraggio, quella passione, quel senso di giustizia che bruciano così forte in un cuore femminile! Mi sono sempre vista impavida compagna di un grande combattente, padrona di casa di un colto salotto milanese che, sognando la nazione e l’indipendenza, ospita riunioni di insospettati cospiratori, escogita sistemi di corrispondenza epistolare segreta, nasconde nelle sofisticate capigliature missive di vitale importanza, cura i combattenti feriti ed estorce informazioni strategiche, beffando in un giro di valzer quel giovane e ingenuo ufficiale austriaco appena giunto in città…”
Ammiro queste donne e sono loro grata, proprio come, ogni volta che mi reco alle urne, volgo un pensiero grato alle suffragette, morte in tante perché anche io potessi votare.
Ogni giorno cerco di insegnare a tutte le mie giovani ragazze la potenza di un femminile coraggioso e insieme raffinato, battagliero, delicato e materno nei confronti del mondo.
Cerco di insegnare loro che le grandi virtù femminili devono avere il mondo intero come teatro, mai le ristrette mura domestiche e che una brava mamma è mamma di tutti i bambini che incontra. Cerco anche di insegnare loro questo profondo senso di gratitudine che abita il mio cuore nei confronti delle tante donne, note o meno note, che hanno costruito rischiando e spesso pagando in prima persona, la mia e la loro libertà e, a piccoli gruppi, le porto di fronte a questa statua. A loro e a tutte le donne che passano da piazza Belgioioso, Cristina Trivulzio rivolge un appello scolpito nella pietra del suo sedile:
“Vogliano le donne felici e onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero
e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che a loro aprirono e prepararono la via
alla non mai prima goduta, forse appena sognata felicità.”
Cristina Trivulzio di Belgiojoso
Sogno una piazza milanese dove, fra cento anni, campeggi la statua di una donna che, giovane navigante della Piccioletta barca, con la sua cultura, il suo coraggio, la sua intelligenza abbia contribuito a rendere il mondo un poco migliore…